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tra sabato e domenica vivo almeno dieci vite
di fernirosso
Zoe McIver
una battuta di caccia dove mi predo e mi scompongo
un teatro di scenografie e macchinari da guerra
un’officina drammaturgica una parola plastica
l’abile storia l’incredibile di una vita scomponibile
progettando una me stessa
che si apre e si involucra si rubrica e si cataloga ogni volta dentro un
io che nasce e muore tutte le volte mettendomi in fila
vacuo specchio che si muove
l’io di un’illesa cartografia la falsa
illusione d’essere fuori
dal mazzo dal coro un fuori gioco che s’impiglia nella rete
in così tante espressioni di se stesso e a debito sempre il tempo
ritmo di una ballata che si scorda mentre suona un solo strumento
un fiato grosso corto sul colle del mondo
uno sfondo di terra di preghiera e falso
tra idoli di roccia e pietrificate religioni maschera
una umanità che si camuffa
ed è vittima e dio che si ascolta
mentre tutto scorre e tutto si trasforma
una lunga litania del rosso un volume
di rubino l’ortodosso corpo che mette in vetrina
inesaurita una macelleria di uomini e bestie
e al palo tutto lo spazio il vuoto sempre più stretto
lo stesso da cui si viene a farsi mondo
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