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LA FELICITA’ RENDE L’UOMO PIGRO (Tacito)
La sentenza del saggio Tacito potrebbe quasi apparire un paradosso: come è possibile che la felicità renda l’uomo pigro?
Non è, forse, la felicità composta o ricollegata, in modo più o meno diretto, all’euforia, alla gioia, alla voglia di vivere, eventualmente, cosparse con un po’ di eccitazione, di divertimento?
Per ciò, non tende a muoverci, a stimolarci, ad incitarci ad essere attivi?
La risposta è, solo in parte, affermativa.
La felicità segna un momento della nostra esistenza, di varia lunghezza ed intensità, durante il quale cessano o si attenuano i dolori, le sofferenze si sfumano, le ansie si assopiscono, le angosce si attenuano, le difficoltà si appiattiscono. Così tutto appare più facile, più semplice e si illumina di una speciale luce di positività, di un ineffabile profumo di ottimismo.
Ebbene una situazione tanto idilliaca rischia di infiacchire, di rendere meno pronti ad affrontare le sfide, meno inclini a combattere per i propri principi, per i propri sogni, per i propri desideri.
Una felicità, dunque, che nell’antica Roma, patria di intrepidi guerrieri, di grandi eroi, non era ammissibile perchè distraeva dal proprio dovere, dall’integrità, dalla forza dando spazio alla mollezza, alla compiacenza, alla pigrizia.
Ed oggi? la felicità che impigrisce, data per scontata, gratuita, è stata squassata dalla crisi, dal pessimismo postmoderno, dagli anni del rischio e del pericolo, dall’infausta ombra del terrorismo e della paura…
Così la nuova felicità non si adagia più sugli allori della pigrizia, ma si rivitalizza con un moto di orgoglio, con un desiderio di partecipare, di esserne fautori ed artefici e non solo di goderne passivamente.
La felicità non è, dunque, sinonimo di inerzia ma di dinamismo, di movimento, di tensione, protensione e propensione.
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