L'isola dei favolosi

Appello : Boicottiamo le aziende che delocalizzano

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    Si sta diffondendo ininternet una iniziativa, che mi trova totalmente d'accordo.

    Sono le primissime avvisaglie, ma già ci si può attivare per dare inizio ad una rivoluzione che potrebbe (dico potrebbe) insegnare agli italiani, che siamo una potenza in grado di rivoluzionare il mercato.

    Boicottiamo (se possibile) i prodotti delle aziende che delocalizzano
    Cosa vuol dire?

    Ormai ci sono molte ditte italiane che ad un certo punto, sia per pagar meno tasse, sia per trarre maggiori profitti, chiudono le fabbriche in italia, creando disoccupazione, e aprono aziende all'estero.

    ok nessuno glielo vieta, però che tu venga a vendere in Italia i prodotti che tu produci all'estero, dando ricchezza ad altri paesi e non in Italia, non mi sembra giusto.

    Faccio un esempio in piccolo :

    In una famiglia ci sono alcuni componenti che lavorano, che contribuiscono al baget familiare e tutti stanno bene.

    ad un certo punto un componente s'ica@@a prende la sua valigia e dice che se ne va fuori casa.

    Va bene, una entrata in meno ma anche una bocca in meno da sfamare.

    Invece no!!!!

    All'ora di pranzo e cena si presenta a mangiare :angry:

    Io sinceramente lo caccerei a calci nel deretano

    Come? te ne sei andato, dai la busta ad un'altra famiglia però vieni a mangiare qui???? :incazz:

    e no!!! bello mio il piatto te lo dò in testa!!!


    ecco questo è quello che succede con le industrie che chiudono in Italia e impiantano all'estero:

    Se IO fossi al governo gli direi, "ok vattene ma per te il mercato italiano non esiste più, è fatto divieto d'importare la tua merce in Italia"

    Ma dato che al governo sono tutti "studiati" una cosa così semplice non la capiscono :rolleyes:

    Dobbiamo provvedere noi, non comprando i prodotti di quelle aziende.

    Ci vorrebbe un bell'elenco completo, che ancora non possiedo, se qualcuno di voi ha notizie di questo genere potremmo creare una bella lista di prodotti da "NON COMPRARE"

    per adesso ho raccimolato ciò che ho trovato

    LISTA IN AGGIORNAMENTO:

    Di seguito l'articolo de "Il Fatto Quotidiano":
    Da Fiat a Benetton, passando per Telecom e Ducati. Ecco una mappa delle attività spostate all’estero da alcuni grandi gruppi italiani.

    FIAT: stabilimenti aperti in Polonia, Serbia, Russia, Brasile, Argentina. Circa 20. 000 posti di lavoro persi, dai 49. 350 occupati nel 2000 si arriva ai 31. 200 del 2009 (fonte: L’Espresso).

    DAINESE: due stabilimenti in Tunisia, circa 500 addetti; produzione quasi del tutto cessata in Italia, tranne qualche centinaio di capi.

    GEOX: stabilimenti in Brasile, Cina e Vietnam; su circa 30. 000 lavoratori solo 2. 000 sono italiani.

    BIALETTI: fabbrica in Cina; rimane il marchio dell’ “omino”, ma i lavoratori di Omegna perdono il lavoro.

    OMSA: stabilimento in Serbia; cassa integrazione per 320 lavoratrici italiane.

    ROSSIGNOL: stabilimento in Romania, dove insiste la gran parte della produzione; 108 esuberi a Montebelluna.

    DUCATI ENERGIA: stabilimenti in India e Croazia.

    BENETTON: stabilimenti in Croazia.

    CALZEDONIA: stabilimenti in Bulgaria.

    STEFANEL: stabilimenti in Croazia.

    TELECOM ITALIA: call center in Albania, Tunisia, Romania, Turchia, per un totale di circa 600 lavoratori, mentre in Italia sono stati dichiarati negli ultimi tre anni oltre 9. 000 esuberi di personale.

    WIND: call center in Romania e Albania tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori. H 3 G: call center in Albania, Romania e Tunisia tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 400 lavoratori impiegati.

    VODAFONE: call center in Romania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori impiegati.

    SKY ITALIA: call center in Albania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 250 lavoratori impiegati. Nell’ultimo anno sono stati circa 5. 000 i posti di lavoro perduti solamente nei call center che operano nel settore delle telecomunicazioni, tra licenziamenti e cassa integrazione.

    La Stock 84 : trasferita all’estero, addio a un altro pezzo di storia

    TRIESTE / Se ne va dall’Italia un altro pezzo di storia, quella dello stabilimento triestino della Stock Spirits, conosciuto ai più come Stock 84, dall’anno di fondazione dell’azienda: 1884 per l’appunto. Da quasi 17 anni l’azienda è gestita da un fondo americano, l’Oak Tree, che ora ha deciso per la delocalizzazione in Repubblica Ceca a causa dei costi troppo alti di produzione.


    la Barilla.
    L’azienda, non più italiana ma americana, usa grano con tassi di micotossine altissimo, e quindi ammuffito, derivante da lunghi stoccaggi, al prezzo più basso possibile.


    La storia risale al 2006 quando l’Unione Europea decise di alzare i livelli di micotossine presenti nel grano duro in modo che anche gli altri paesi, con climi più sfavorevoli, potessero produrlo. Una decisione basata su fini puramente commerciali. Oltre ad impoverire la qualità dei prodotti, infatti, la manovra rappresentò un duro colpo per i contadini del Sud Italia. Quest’ultimi, il cui grano non conteneva micotossine poiché lavorato naturalmente, furono meccanicamente esclusi dal mercato europeo.


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    Logico che ormai chi c'è c'è, anche io ho telecom ma non per questo cambio gestore:

    ma per i prossimi acquisti mi regolerò dando un'occhiata a questa lista ;)

    Spero mi seguiate in tanti, ma non per fare un favore a me, ma per farlo a tutti voi :si:

    Edited by *farfallina* - 27/4/2012, 22:36
     
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    Ne terrò sicuramente conto. Bisogna che gli italiani comincino a pensare in... piccolo
     
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    già, dobbiamo pensarci noi, certo che anche il nostro presidente Napolitano mette coraggio quando dice "ce la possiamo fare" :rolleyes: letto fra le righe vuol dire che non è detto che ce la faremo.

    Ci ho ragionato su un bel pò su quel "ce la possiamo fare" :B):
     
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    Fiat, firmato accordo con Sberbank per produrre veicoli in Russia

    Economia - Fiat e Sberbank hanno siglato una lettera di intenti per la produzione e distribuzione di vetture e veicoli commerciali leggeri in Russia. Secondo quanto si legge in una nota la banca russa è intenzionata a finanziare il progetto e ad acquisire il 20% della joint venture.
    La gamma prodotti inizialmente si baserà su veicoli Jeep. con un investimento massimo di 850 milioni di euro e una capacità produttiva di 120.000 veicoli, ma in futuro potrebbe estendersi anche ad altri modelli e motori. Il progetto prevede uno stabilimento produttivo a San Pietroburgo e l'assemblaggio di suv e veicoli commerciali nella fabbrica Zil a Mosca.

    Anche Chrysler, di cui Fiat detiene il 58.5%, potrebbe partecipare al progetto come investitore e concedere la licenza per la produzione di alcuni suoi modelli.
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    La Stock 84 trasferita all’estero, addio a un altro pezzo di storia

    TRIESTE / Se ne va dall’Italia un altro pezzo di storia, quella dello stabilimento triestino della Stock Spirits, conosciuto ai più come Stock 84, dall’anno di fondazione dell’azienda: 1884 per l’appunto. Da quasi 17 anni l’azienda è gestita da un fondo americano, l’Oak Tree, che ora ha deciso per la delocalizzazione in Repubblica Ceca a causa dei costi troppo alti di produzione.

    Sempre la solita storia, commenteranno in molti, ma a Trieste l’amarezza è molta. Se ne va il marchio che più di tutto faceva parte del costume della città, il protagonista storico del “Carosello”. E così addio al sito industriale di Zaule, e la distillazione dei liquori sarà trasferita in un paese che offre un costo del lavoro più basso e dove il gruppo produce del resto già da anni. Restano a casa 28 lavoratori e due dirigenti, gli ultimi rimasti sulla linea di produzione da 20 milioni di bottiglie all’anno oggetto, nel tempo, di diverse riorganizzazioni.

    In prima linea l’assemblea dei lavoratori dello Stock 84 che hanno deciso per il blocco della produzione per almeno due giorni. Un tentativo necessario per evitare il licenziamento degli altri dipendenti dell’indotto, ma anche per denigrare la scelta del fondo americano. “Superficialità” l’aggettivo usato dai manifestanti che si dicono increduli della facilità con cui un marchio così storico, legato all’immagine di Trieste, sia definitivamente cancellato dalla storia italiana.

    Ma nulla sembra essere valso: “È con grande rammarico che Stock Spirits Group annuncia la chiusura del sito produttivo di Trieste e il trasferimento della produzione nello stabilimento in Repubblica Ceca – scrive in una nota la società guidata da Claudio Riva, che aggiunge – Questa difficile decisione con un contesto commerciale che risente della contrazione dei consumi e dalla necessità di restare competitivi, consolidando la nostra produzione per ridurre i costi e aumentare l’efficienza”. Ma peggio ancora: “Negli ultimi tre anni sono stati fatti notevoli sforzi per migliorare le nostre attività a Trieste e vorremmo ringraziare i dipendenti – scrive la Stock – che ci hanno aiutato a migliorare la produttività. Tuttavia, dopo un’accurata analisi, risulta chiaro che lo stabilimento di Trieste rimane non sostenibile a livello economico rispetto ai nostri altri siti produttivi”.

    Ai triestini, quindi, non resta che salutare e dimenticare. Magari sorseggiando proprio quel bicchierino che tormentò le radio negli anni ’60: “Se la tua squadra del cuore ha vinto brinda con Stock 84, se la squadra del cuore ha perso consolati con Stock 84″.

    fonte


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    Il Web lancia il boicottaggio di Barilla!
    La protesta contro la Barilla parte dalla rete (*)
    Di Chiara Amendola

    Parte dalla rete la protesta contro l’Impresa di prodotti alimentari più famosa d’Italia: la Barilla.
    L’azienda, non più italiana ma americana, usa grano con tassi di micotossine altissimo, e quindi ammuffito, derivante da lunghi stoccaggi, al prezzo più basso possibile.
    Ma perché accade ciò?
    La storia risale al 2006 quando l’Unione Europea decise di alzare i livelli di micotossine presenti nel grano duro in modo che anche gli altri paesi, con climi più sfavorevoli, potessero produrlo. Una decisione basata su fini puramente commerciali. Oltre ad impoverire la qualità dei prodotti, infatti, la manovra rappresentò un duro colpo per i contadini del Sud Italia. Quest’ultimi, il cui grano non conteneva micotossine poiché lavorato naturalmente, furono meccanicamente esclusi dal mercato europeo.
    Il discorso però era, ed è, diverso per i paesi d’oltreoceano. Per l’esportazione del prodotto in Usa e in Canada i parametri cambiano. In questo caso il grano deve avere un tasso di micotossine pari alla metà di quello accettato dalla UE per le importazioni.
    In questo modo è successo che:
    I prezzi internazionali del grano duro di riflesso sono crollati, circostanza favorevole per i commercianti italiani ed i monopolisti internazionali che hanno potuto acquistare il grano al prezzo più basso possibile dai contadini meridionali, messi alle strette dalle direttive europee. Questi stessi imprenditori hanno esportato poi il grano italiano migliore all’estero, lucrando sul prezzo, per poi portare da noi prodotti realizzati con il grano ammuffito, accumulatosi nei depositi, e radioattivo.
    Alla luce di ciò il web, attraverso i social network, sta diffondendo il messaggio per boicottare la Barilla, principale azienda responsabile di questo disastro alimentare, incentivando gli utenti ad acquistare solo prodotti graminacei coltivati nello stivale e di agricoltura biologica.
    Operazione non semplice visto che la Barilla è presente nel mondo con i marchi con il più alto valore commerciale: Motta, Essere, Gran Pavesi, le Tre Marie, le Spighe, Mulino Bianco, Pavesini, Voiello, Panem.
    La protesta sta raccogliendo consensi e già esistono liste di discussione dove è possibile trovare un’ alternativa di prodotti, completamente realizzati in Italia e non OGM, da poter sostituire al colosso americano.
    Fonte: Controlacrisi.org


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    Avevo letto anch'io... e pensato di postare :)

    C'è da rifletterci...
     
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    L'Italia è ormai finita, spacciata.
    La gente non ha più voglia di lavorare e ai pochi che ce l'hanno ci pensa Monti a farla passare

    Giusy, stavolta la riflessione non basta purtroppo :( bisogna agire, io agirò, stavolta, non m'importa di passare per la pecora di un branco di protesta, ci credo ci ho sempre creduto, tanto da perdere che abbiamo ormai?

    Spero di fare qualcosa di buono per la mia città mettendo un voto che non vuol dire solo una croce, ma spero voglia dire qualcosa di più, anche se Sesto è una città inespugnabile, Rossa nonostante il marcio e le ruberie di Penati & Co. e anche l'ultimo sindaco indagato, che hanno sempre preteso di farci rispettare le leggi quando loro sono i primi delinquenti!!!

    Purtroppo i vecchi babbioni di Sesto voteranno sempre e comunque Rosso, pure se gliela fanno sotto al naso!!! ormai lo hanno nel DNA .. Ma tutti i partiti ormai fanno C@@are.. finalmente un'alternativa c'è buona o non buona .. ma almeno c'è!!!! <_< anzi ce ne sono 2 ... un gruppo più piccolo locale e uno più grosso nazionale senza colore .. (sicuramente si capisce qual è) fatto di cittadini, c'è dentro anche un ragazzo del palazzo dove sto io.. non sono politici sono persone .. i politici ormai li schifo tutti!!!! :incazz:
     
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  9. Donkey Plus
     
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    Molte aziende lasciano in italia il marchio, fanno i prodotti all'estero che poi tornano in Italia dove vengono Imbustati ho imballati mettendoci il marchio MADE IN ITALY.
     
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    Ho notato, infatti, che i jeans di marca che acquista mio figlio durano una stagione, stingono e fanno schifo, mentre quelli del marito marca "tricheberlicche" durano anni che ti stufi di portarli, non stingono e sono di qualita super, stesso discorso per le scarpe :si: ma le grandi marche ormai hanno rimbecillito i nostri giovani, che si mettono addosso la M... prodotta all'estero, a "naso" si sente anche la "puzza" di certi sottoprodotti di marca senza contare che alcuni son fatti da bambini.

    certo se ragionassero con la mia testa, sai che mestiere farebbero i grandi stilisti invece di fare la vita da nababbi coi nostri soldi? :lol:
     
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    Un altro marchio italiano in mani straniere: Pernigotti diventa turca

    Da oggi anche i gianduiotti non saranno più italiani. Il marchio Pernigotti, infattti, è stato venduto dalla famiglia Averna al gruppo turco Toksoz, con sede a Istanbul.





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    Si tratta dell'ennesimo marchio storico del "made in Italy" a passare in mani straniere e che (da solo) generava un giro d’affari di 75 milioni di euro grazie allo stabilimento di Novi Ligure (Alessandria), dove l’azienda occupa circa 150 dipendenti.

    "In tutti gli anni di lavoro svolti in Pernigotti abbiamo profuso un grande impegno nel miglioramento qualitativo dei prodotti, nel rinnovamento della gamma e nel potenziamento produttivo ed organizzativo. Negli ultimi mesi siamo stati oggetto di un forte interesse da parte dei principali operatori nazionali ed esteri; siamo lieti di affidare Pernigotti al gruppo Sanset della famiglia Toksoz, solido e determinato ad agire in ottica di continuità e sviluppo. Pernigotti, facendo leva sul notevole know-how acquisito e sulla complementarietà con Sanset, continuerà il processo di crescita intrapreso in Italia, in Turchia e negli altri mercati internazionali", spiega Averna. Intanto il gruppo turco garantisce: "Manterremo e potenzieremo l’attuale struttura, sviluppando l’attività in nuove e interessanti aree geografiche, sfruttando la forza del marchio Pernigotti. Introdurremo Pernigotti nel mercato turco cosi come in altri importanti paesi".

    Una (piccola) buona notizia arriva però sul fronte abbigliamento. Mario Moretti Polegato, fondatore di Geox, ha infatti riacquistato tramite la finanziaria di famiglia Lir il marchi Diadora per Cina, Hong Kong e Macao, per 9,2 milioni di dollari.
     
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10 replies since 28/2/2012, 13:07   303 views
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