L'isola dei favolosi

Piante carnivore

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    Pianta carnivora



    Le piante carnivore (dette talvolta piante insettivore) sono delle particolari piante che intrappolano e consumano protozoi ed animali, specialmente insetti ed altri artropodi, al fine di ottenere i nutrienti essenziali per la loro crescita.

    Questa singolare caratteristica è il risultato di un adattamento a quegli ambienti, come paludi, torbiere o rocce affioranti, in cui il suolo per la forte acidità è povero o privo di nutrienti e in particolar modo d'azoto, che viene così integrato dalla pianta attraverso le digestione delle proteine animali.

    Il primo a scrivere un trattato sulle piante carnivore fu Charles Darwin nel 1875.

    Ne esistono circa 600 specie diffuse in tutto il mondo distribuite in circa 12 generi e 5 famiglie. Oltre a queste, esistono anche circa 300 specie di piante protocarnivore, divise in diversi generi, che possiedono alcune ma non tutte le caratteristiche per essere considerate vere carnivore.

    Caratteristiche generali

    Le piante carnivore sono delle piante erbacee, che in risposta alla carenza di nutrienti propria del loro habitat, si sono adattate a ricavare le sostanze nutritive dalla digestione delle proteine degli animali. Questi vengono catturati per mezzo di trappole più o meno efficienti che derivano generalmente da foglie modificate.

    Il primo a coniare il termine di "carnivore" fu Lloyd nel 1942, mentre prima (e in alcuni casi ancora oggi) veniva utilizzato il termine di piante insettivore. Poiché queste piante non si nutrono soltanto di insetti, ma anche di altri artropodi o di altri piccoli animali, si è ritenuto fosse più corretto utilizzare il termine di piante carnivore.

    Vivono in ambienti estremi come le torbiere e in suoli acidi e privi di calcio, con una bassissima concentrazione di sostanze nutritive quali azoto, fosforo o potassio.

    Le piante carnivore presentano delle radici piuttosto piccole in relazione alle dimensioni delle piante. Questo è dovuto al fatto che la pianta spende più energia nella "costruzione" delle trappole e nella produzione degli enzimi digestivi, piuttosto che accrescere la biomassa radicale. In questo modo il compito di assorbire l'azoto e gli altri nutrienti è affidato alle foglie piuttosto che alle radici.

    Sono generalmente piante perenni, sebbene ne esistano anche di annuali. Molte vivono solo per pochi anni, mentre altre possono formare delle colonie per mezzo della formazione di stoloni.

    Sono delle deboli competitrici nei confronti delle altre piante. Se, per esempio, il loro habitat subisce dei drastici cambiamenti, come l'essiccamento, vengono prontamente rimpiazzate dalle piante non carnivore, molto più efficienti nel compiere la fotosintesi in ambienti "normali" rispetto alle carnivore.

    Meccanismi di intrappolamento


    Le piante carnivore hanno sviluppato cinque diversi tipi di trappole per la cattura degli organismi di cui si nutrono. Queste sono:
    Trappole ad ascidio: le prede vengono intrappolate all'interno di una foglia arrotolata a forma di caraffa, contenente un pool di enzimi digestivi e/o batteri;
    Trappole adesive: la cattura avviene tramite una mucillagine collosa secreta dalle foglie;
    Trappole a scatto o a tagliola: un rapido movimento delle foglie immobilizza l'animale al loro interno;
    Trappole ad aspirazione: la preda viene risucchiata da una struttura simile ad una vescica, l'utricolo, al cui interno si genera un vuoto di pressione;
    Trappole a nassa: presentano dei peli che dirigono forzatamente la preda all'interno dell'organo digestivo.

    Queste trappole possono essere classificate anche come attive o passive, in base alla partecipazione della pianta alla cattura. Ad esempio, le piante di Triphyophyllum mostrano una trappola adesiva passiva, che secerne mucillagine ma non è accompagnata da un movimento o sviluppo delle foglie in risposta alla cattura della preda. Al contrario le trappole adesive delle piante del genere Drosera, sono considerate attive per la presenza di foglie che, con una rapida crescita cellulare, avvolgono la preda favorendone la digestione.

    È interessante notare come i diversi tipi di trappola siano specializzati nella cattura di diversi tipi di prede: le piante con trappole adesive catturano piccoli insetti volanti, quelle con trappola ad ascidio sono in grado di predare insetti volanti di maggiori dimensioni, mentre la trappola a tagliola è adatta a catturare insetti del suolo di dimensioni relativamente grandi.

    Trappola ad ascidio



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    Nel genere Sarracenia, il problema dell'eccessivo riempimento dell'ascidio viene risolto per mezzo della presenza di un opercolo: un'espansione della foglia che copre l'apertura del tubo, proteggendolo dalla pioggia. Probabilmente a causa di questo migliore riparo dall'acqua, le specie di Sarracenia riescono a secernere degli enzimi, come proteasi e fosfatasi, nel fluido digestivo nel fondo dell'ascidio, mentre le Heliamphora si affidano soltanto ad una digestione batterica. Questi enzimi digeriscono le proteine e gli acidi nucleici della preda, rilasciando amminoacidi e ioni fosfato, che vengono assorbiti dalla pianta.

    La pianta cobra (Darlingtonia californica) possiede un adattamento presente anche nella Sarracenia psittacina e in minor misura anche nella Sarracenia minor: l'opercolo è un rigonfiamento che chiude in parte l'apertura dell'ascidio. La sua cavità è puntellata da areole che, prive di clorofilla, permettono alla luce di penetrare all'interno del tubo. Attraversando l'apertura posta nella regione inferiore dell'opercolo, gli insetti (in particolare le formiche), una volta all'interno, tentano di scappare utilizzando questa falsa uscita, fino a quando non cadono all'interno del tubo digestivo. Anche alcune giovani plantule di Sarracenia possiedono un lungo e sporgente opercolo; si ritiene quindi che la Darlingtonia rappresenti un caso di neotenia.

    Il secondo maggior gruppo di piante ad ascidio è rappresentato dal genere Nepenthes, le cui circa 100 specie possiedono degli ascidi sostenuti dalla parte finale di un viticcio che si sviluppa come un'estensione della nervatura principale della foglia. Molte specie cacciano insetti, sebbene le più grandi, ed in particolare la Nepenthes rajah, catturino occasionalmente piccoli mammiferi e rettili.[6] Questi contenitori rappresentano infatti un'attraente fonte di cibo per piccoli insettivori. Per evitare catture accidentali la Nepenthes bicalcarata possiede due spine acuminate che proietta dalla base dell'opercolo verso l'entrata dell'ascidio e con le quali cerca di proteggersi dalle incursioni di questi mammiferi. Questa tesi, però, non è accettata da tutti i ricercatori.


    Le trappole ad ascidio si sono evolute almeno in altri due gruppi. Cephalotus follicularis è una piccola pianta carnivora dell'Australia occidentale con ascidio a forma di mocassino. In questa specie il peristoma, l'orlo che borda l'apertura dell'ascidio, è particolarmente pronunciato, secerne del Nettare ed è provvisto di sporgenze spinose nell'apertura che impediscono agli insetti intrappolati di fuoriuscire. La parete di molte piante con ascidi è coperta da uno strato ceroso, scivoloso per gli insetti che vengono spesso attratti dal nettare secreto dal peristoma e dalla brillante colorazione antocianina, simile a quella dei fiori. Nella Sarracenia flava, il nettare è corretto con la coniina, un alcaloide tossico presente anche nella cicuta, che probabilmente incrementa l'efficienza della trappola intossicando la preda stessa.[8]

    Un'altra carnivora con trappola ad ascidio è la Brocchinia reducta. Questa bromeliacea possiede, come l'ananas, un'urna formata da foglie cerose strettamente riunite alla base. In molte bromeliacee, l'acqua penetra e ristagna all'interno dell'urna che diventa habitat per rane, insetti e batteri azotofissatori di grande importanza per la pianta. Nella Brocchinia, l'urna si è specializzata come trappola per insetti, contenente una popolazione di batteri digestivi ed un rivestimento ceroso interno.



    Heliamphora pulchella: da notare i suoi piccolissimi opercoli a forma di campanella e i peli che ricoprono la superficie interna dell'ascidio
    Questi tipi di trappole si sono evolute in modo indipendente almeno in quattro occasioni. Le più semplici sono probabilmente quelle del genere Heliamphora: in queste piante le trappole sono chiaramente il risultato di una modificazione delle foglie che hanno subito un arrotolamento con saldatura fra i margini. Queste piante sono originarie delle aree sudamericane ad intensa precipitazione e, di conseguenza, devono assicurarsi che l'ascidio non venga riempito eccessivamente dall'acqua piovana. Per risolvere il problema, la selezione naturale ha favorito l'evoluzione di uno scarico, simile a quello di un lavandino: un piccolo varco tra i margini fogliari incernierati che permette all'acqua in eccesso di fluire all'esterno dell'ascidio.

    Heliamphora è un membro delle Sarraceniaceae, una famiglia del Nuovo Mondo cui appartengono altri due generi di piante carnivore: Sarracenia, endemica della Florida, e Darlingtonia, originaria della California. La Sarracenia purpurea subsp. purpurea ha una distribuzione più estesa, spingendosi fino in Canada.

    Trappola a colla


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    Pinguicula gigantea: le foglie sono coperte da ghiandole produttrici di mucillagine che servono alla pianta per catturare piccoli insetti
    Le trappole adesive sono quelle in cui il meccanismo di intrappolamento si basa sulle proprietà collose di una mucillagine secreta da apposite ghiandole presenti nelle foglie. Queste ghiandole possono essere piccole e praticamente invisibili a occhio nudo (come quelle del genere Pinguicula) oppure lunghe e, in alcuni casi, mobili (come nel genere Drosera). Le trappole adesive si sono evolute indipendentemente almeno cinque volte nelle varie piante che le posseggono.
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    Nel genere Pinguicula, le ghiandole sono brevi e sessili. Le foglie lucenti non fanno apparire queste piante particolarmente carnivore, ma in realtà sono di fatto delle trappole estremamente efficaci per la cattura di piccoli insetti volanti (come i moscerini dei funghi), rispondendo alla cattura con una crescita relativamente rapida. Questo sviluppo tigmotropico può produrre un arrotolamento della lamina fogliare (per evitare che la pioggia faccia scivolare via la preda dalla superficie della foglia) od un infossamento della superficie sotto la preda (per formare un pozzo digestivo poco profondo).
    Il genere Drosera comprende oltre 100 specie con trappole adesive attive, le cui ghiandole sono poste all'estremità di lunghi tentacoli che si muovono abbastanza rapidamente in risposta alla avvenuta cattura della preda. I tentacoli di Drosera burmannii sono capaci di curvarsi di 180º in quasi solo un minuto. Le Drosera sono estremamente cosmopolite e sono state rinvenute in tutti i continenti, ad eccezione dell'Antartide. In Italia vivono tre specie, D. rotundifolia, D. intermedia e D. anglica. La loro maggiore diversità si ha in Australia, la patria del grande sottogruppo delle drosere pigmee, come Drosera pygmaea, e di specie tuberose come Drosera peltata, che forma dei tuberi per sopravvivere ai caldi e secchi mesi estivi. Queste specie sono molto dipendenti dalla fonte di azoto rappresentata dagli insetti e generalmente sono prive di quegli enzimi, come la nitrato reduttasi, richiesti dalle piante per trasformare l'azoto del suolo in una forma organica assimilabile.

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    Affine a Drosera è il genere Drosophyllum, che differisce per la modalità passiva di cattura: le foglie sono incapaci di rapidi movimenti o di crescere in risposta all'intrappolamento. Simili per comportamento, ma non imparentate con Drosophyllum, sono le piante del genere Byblis. Drosophyllum può essere considerata un'eccezione tra le piante carnivore in quanto cresce in condizioni quasi desertiche, mentre tutte le altre sono tipiche delle paludi o delle aree tropicali.

    Recenti dati molecolari, basati in particolare sulla produzione di plumbagina, indicano che la Triphyophyllum peltatum, un'altra carnivora con trappola adesiva della famiglia Dioncophyllaceae, è strettamente affine a Drosophyllum, con cui forma parte di un ampio clade di piante carnivore e non, cui appartengono Droseraceae, Nepenthaceae, Ancistrocladaceae e Plumbaginaceae. Questa pianta è considerata usualmente una liana, ma nella sua fase giovanile ha abitudini carnivore dovute, si pensa, ad una specifica richiesta di nutrienti essenziali per la sua fioritura.
    Trappola a scatto
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    È probabilmente il meccanismo più spettacolare, poiché è uno dei rari casi in cui un vegetale è in grado di compiere dei movimenti talmente rapidi da farlo sembrare più simile ad un animale. La caratteristica forma delle foglie (simili ad una bocca irta di denti acuminati) contribuisce poi a rendere l'effetto ancora più appariscente. Esistono due tipologie di trappole a scatto, che si crede derivino da un antenato comune, presenti ciascuna in un'unica specie: la venus acchiappamosche (Dionaea muscipula) e l'aldrovanda (Aldrovanda vesiculosa). L'Aldrovanda è una pianta acquatica specializzata nella cattura di piccoli invertebrati; Dionaea è invece terrestre e caccia soprattutto mosche ed altri insetti volanti. Le trappole sono molto simili: presentano delle foglie la cui regione terminale è divisa in due lobi, incernierati lungo la nervatura centrale. Al loro interno si trovano dei peli innescanti sensibili al tatto (tre su ogni lobo nel caso della Dionaea; molti di più nel caso dell'Aldrovanda). Quando i peli vengono piegati provocano l'apertura dei canali ionici nelle membrane delle cellule alla loro base, generando un potenziale d'azione che si propaga alle cellule della nervatura mediana.[10] Queste cellule rispondono pompando nell'ambiente extra-cellulare ioni potassio. Questo può causare perdita di acqua, che fuoriesce per osmosi, provocando il collasso delle cellule della nervatura, o può portare ad una rapida crescita acida.[11] La questione su quale sia il meccanismo d'azione è ancora molto dibattuta, ma in ogni caso il risultato è che i lobi, che sono mantenuti sotto pressione, si chiudono a scatto.[10] Questo processo dura circa un secondo (molto meno se la pianta è in buone condizioni)

    Nella venus acchiappamosche, le chiusure futili (in risposta a gocce di pioggia od alla caduta di detriti) sono prevenute da una semplice memoria posseduta dalle foglie: per chiudersi sono infatti richiesti due stimoli distanti tra 0.5 e i 30 secondi. È inoltre necessario che la stimolazione continui anche dopo la chiusura della foglia perché la digestione abbia inizio, in caso contrario la foglia si riapre dopo poche ore (una giornata circa).

    Lo scatto delle foglie è un tipico caso di tigmonastia, un movimento indiretto provocato dalla variazione di turgore delle cellule in risposta ad uno stimolo tattile. L'ulteriore stimolazione delle superfici interne dei lobi, generate dal dibattersi dell'insetto, induce questi a chiudersi sempre più per avvolgere la preda (tigmotropismo). Saldandosi ermeticamente, i lobi formano una sorta di stomaco nel quale avviene la digestione, che dura da una a due settimane. Le foglie possono essere riutilizzate tre o quattro volte prima di diventare insensibili alla stimolazione e morire.

    Trappola ad aspirazione


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    Disegno delle numerose vescicole (utricoli) che sono presenti nelle ramificazioni terminali del fusto di Utricularia
    Le trappole ad aspirazione sono esclusive del genere Utricularia. Queste piante posseggono delle vescicole spesso sotterranee, a forma di sacco e chiamate utricoli, che pompando ioni verso l'esterno, provocano una fuoriuscita d'acqua per osmosi e la conseguente creazione di un vuoto parziale al loro interno. L'utricolo possiede una piccola apertura sigillata ermeticamente da una porta. Nelle specie acquatiche, la porta è dotata di un paio di lunghi peli innescanti. Gli invertebrati acquatici (come le pulci d'acqua, Daphnia sp.) che toccano questi peli provocano l'apertura della porta verso l'interno. Il rilascio del vuoto genera un risucchio che aspira l'acqua e la preda all'interno della vescicola, dove poi avviene la digestione. Le dimensioni degli utricoli variano da 1 a 4 mm.

    Molte specie di Utricularia - come l'U. sandersonii - sono terrestri e si accrescono sui suoli fradici; i loro meccanismi di intrappolamento vengono attivati in maniera leggermente diversa. Le utricularie sono prive di radici, sebbene le specie terrestri posseggano steli d'ancoraggio che le ricordano. Le specie viventi nelle acque temperate producono delle gemme che, durante i freddi mesi invernali, si staccano dalla pianta con la sua morte e rimangono in quiescenza fino all'arrivo della primavera. L'U. macrorhiza crescendo regola il numero di vescicole in base al tipo di nutriente predominante nel suo habitat.

    Trappola a nassa


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    Le trappole a nassa sono tipiche delle Genlisea, le piante cavaturaccioli. In queste piante, che appaiono specializzate nella cattura di protozoi acquatici, una foglia modificata a forma di "Y" consente l'entrata alla preda, ma non l'uscita.

    Ciò avviene grazie alla presenza di peli diretti verso l'interno che forzano la preda a muoversi in una particolare direzione. Entrando nell'apertura a spirale che serpeggia attorno alle due braccia superiori della Y, le prede sono costrette a raggiungere inesorabilmente lo "stomaco", l'apparato digestivo posto nel braccio inferiore della Y. Si pensa che il movimento della preda sia favorito anche dall'acqua che scorre attraverso la trappola, producendo un risucchio simile a quello generato dalle vescicole delle Utricolarie. Probabilmente questi due tipi di trappole sono relazionati dal punto di vista evolutivo.

    Strutture simili a questo tipo di trappola sono riscontrabili in Sarracenia psittacina e Darlingtonia californica.
    Piante semi-carnivore


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    Per approfondire, vedi la voce Pianta protocarnivora.


    Per essere considerata una carnivora completa, una pianta deve essere in grado di attirare, uccidere e digerire le prede,[12] traendo beneficio dall'assorbimento dei prodotti della digestione (in particolare amminoacidi e azoto). Esistono, quindi, diversi gradi di carnivorosità: da piante non-carnivore, a semi-carnivore, fino ad arrivare alle carnivore vere e proprie, tra cui sono comprese sia quelle con trappole semplici e non specializzate, come in Heliamphora, sia quelle con meccanismi complessi ed evoluti, riscontrabili ad esempio nella venus acchiappamosche.





    Roridula è una pianta semi-carnivora che assorbe il nutrimento dalla "preda" attraverso gli escrementi di un insetto predatore
    Piante semi-carnivore di particolare interesse sono le Roridula e Catopsis berteroniana. Quest'ultima è una bromeliacea come la Brocchinia, ma mentre questa è in grado di produrre la fosfatasi, la C. bertoroniana non è capace di sintetizzare nessun tipo di enzima digestivo:[13] le prede scivolano dentro le urne possedute da queste piante e vengono digerite dai batteri presenti al loro interno.

    Le Roridula mostrano un'intricata relazione con le loro prede. Analogamente alle Drosera, le piante di questo genere presentano delle foglie adesive con ghiandole secernenti mucillagine, ma non beneficiano direttamente dell'insetto catturato. Infatti, grazie ad una simbiosi mutualistica con i reduvi assassini (Pameridea), che si nutrono degli insetti intrappolati, la pianta assorbe i nutrienti derivati dai loro escrementi.[14]

    Alcune specie di Martyniaceae (già Pedaliaceae), come l' Ibicella lutea, possiedono foglie adesive che intrappolano insetti ma non è stato dimostrato che esse siano carnivore.[15] Similmente, i semi della "borsa del pastore" (Capsella bursa-pastoris), le urne della Paepalanthus bromelioides, le brattee della Passiflora foetida e gli steli delle infiorescenze ed i sepali di Stylidium spp.[16] appaiono catturare ed uccidere le prede, ma la loro classificazione come carnivore è tuttora in discussione.

    La produzione di specifici enzimi digestivi (proteasi, fosfatasi, ribonucleasi, ecc.) viene usata certe volte come criterio diagnostico per la carnivorosità. Tuttavia, questo metodo escluderebbe alcuni generi come Byblis, Heliamphora[17] e Darlingtonia,[18] generalmente accettati come carnivori, ma che in realtà presentano una simbiosi con dei batteri muniti di enzimi utili per la digestione delle prede. Il dibattito sulla definizione basata sull'attività enzimatica apre una questione riguardante la Roridula: non vi sono chiare ragioni per cui una pianta con batteri simbionti che, in seguito alla cattura, trae beneficio da essi possa essere considerata carnivora, mentre il possesso di insetti simbionti escluda questa possibilità.



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    UN VIDEO SPETTACOLARE SULLA PIANTA CARNIVORA DIONAEA MUSCIPULA!!

    La Dionaea muscipula, volgarmente chiamata dionea o venere acchiappamosche, è una pianta carnivora della famiglia delle Droseracee. Quando cattura è veramente spettacolare. I lunghi piccioli delle foglie posseggono alla loro estremità una trappola munita di "denti" morbidi; le trappole sono formate da due lembi dentro ognuno dei quali si hanno tre sporgenze che fanno da sensore; quando questi sensori vengono toccati o vibrano le trappole si chiudono di scatto (tigmonastia). La pianta, grazie ad un sofisticato sistema "memoria", riesce a distinguere il primo "tocco", rimanendo ferma in attesa, dal secondo, che invece impartisce l'ordine di "serrare" le trappole. Ogni 30/40 secondi circa la "memoria" viene resettata facendo ripartire il ciclo. Questo sistema è usato dalla pianta per evitare di chiudere le trappole quando non abbia ancora "riconosciuto" la preda: una chiusura selettiva per risparmiare energia.

     
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