L'isola dei favolosi

Come siamo cambiati

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    Io è già da un pò che mi rendo conto che le persone sono cambiate :(

    Chiamiamola educazione, diplomazia, vedo com'è cambiata la gente nel corso degli anni, oggi la chiamano ipocrisia, parola da me ignorata fino a pochi anni fa..ma non per ignoranza, ma l'ipocrisia non esisteva a questi livelli, perciò era quasi ignorata.

    si era schietti .. selvatici, maleducati, arroganti... ma SINCERI!!!
    Ho sempre adorato i selvatici i maleducati e gli arroganti, perchè sono VERI
    ed oggi leggendo questo articolo, che prende la società nella sua globalità, questi cambiamenti e difetti li vedo anche nel "piccolo" nella quotidianità..

    perchè non siamo capaci di essere un po più maleducati, ma sinceri?
    perchè non siamo capaci di essere un pò più selvatici, e seguire i nostri istinti invece che le direttive degli altri?
    perchè non siamo capaci di essere un po più arroganti e in grado di essere anticonformisti?

    l'anticonformista!!! tutti oggi si dichiarano anticonformisti, si autoconvincono di esserlo, per sembrare fighi, ma secondo questo articolo è un'ennesima menzogna, un'ipocrisia,
    perchè chi si professa anticonformista aderisce a tutto ciò che inculcano nelle nostre teste?

    questo articolo rappresenta proprio quello che da un pò di anni mi fa vedere le persone "diverse" e non riuscivo a spiegarmene i motivi, ma leggendo di tanto in tanto questi articoli, pian piano ci sono arrivata ai veri motivi.

    Prima si viveva in piccole comunità, in piccoli borghi, le idee erano ESCLUSIVE per ogni essere umano, i SUOI valori il suo modo di vivere, non veniva certo tacciato di avere pregiudizi, di avere preconcetti, di essere omofobo, o razzista, aveva le SUE idee e veniva accettato e rispettato per quasto.
    oggi le nostre idee han lasciato spazio alle idee di chi ci governa, della stampa della televisione, come dice l'articolo, un tempo la stampa, era la stampa "contro" oggi la stampa tv ecc... remano a favore e ci fa sembrare giusto ciò che ci inculcano.

    ma meglio di me lo ha spiegato questo articolo di Gaetano Masciullo

    La società nella comunicazione di massa

    di Gaetano Masciullo
    La società odierna ha ormai da tempo raggiunto un altissimo livello di informatizzazione e va sempre più incontro ad un conformismo sociale e culturale di tipo globale, che presenta i suoi vantaggi ma certamente anche numerosi pericoli. Ciò che oggi non pare evidente – la colpa è tutta da ricercare nella totale e passiva assuefazione delle masse al sistema – è che la vera classe dirigente non è più quella costituita dalla politica, bensì da chi gestisce il potere mediatico.

    E’ un potere di portata vastissima, è facile intuirlo: non vi è angolo del mondo in cui la globalizzazione non ha affondato le sue radici, tutto all’insegna dell’americanismo, sorto a modello di questa fittizia cultura. Sono così le logiche del potere economico, di cui i media non sono altro che meschini portavoce.

    I valori che quotidianamente inculcano nelle nostre teste: il denaro come unica vera sorgente di felicità e il rispetto di regole la cui importanza supera quella delle persone stesse. Sono i media a delimitare i confini morali entro cui le persone devono per forza di cose ritrovarsi, pena l’esclusione e l’umiliante titolo di anticonformista.

    Ma come sono nati i media? Durante l’Illuminismo, mezzi di comunicazione di massa iniziarono a circolare per creare un’opinione pubblica solida, una giusta informazione ed una sana avversione nei confronti dell’ancien régime, dell’elitarismo intellettuale e politico.

    Con l’instaurazione delle moderne democrazie, questi elitarismi non sono certo scomparsi, o ve ne sono sorti di nuovi, più pericolosi perché nell’ombra di una illusione collettiva di condizione democratica.

    “Nel mondo non esiste una stampa dura – sostiene Kapuscinski nel suo Autoritratto di un reporter – I media non rappresentano più una opposizione al sistema. Un tempo la stampa […] combatteva accanicamente contro questo o quel fenomeno. Oggi […] si sono affiancati al potere e […] non polemizzano più su questioni di principio”.

    La comunicazione di massa raccoglie in sé vari mezzi di informazione: la radio, la televisione, la stampa, Internet, la pubblicità – meccanismo questo che si infiltra in ognuno dei suddetti. Ceccarelli, in una rubrica di Repubblica, in un articolo scrive che: “Le immagini […] fuggono al controllo e vivono di vita propria”.

    Platone diceva che la realtà da noi percepita è mimesi delle Idee, un ostacolo dunque alla comprensione della realtà effettiva. In questa ottica, allora, la società odierna, che è la società della rappresentazione, dell’apparenza, dell’immagine, è imbevuta di falsità: mimesi di mimesi.

    Chomsky ne Il potere dei media afferma giustamente: “Siccome si è soli davanti al televisore, una persona può credere di essere pazza, perché la realtà dello schermo è tutto quello che si vede”, e ancora: “E’ questo il punto fondamentale – non si avrà mai la possibilità di scoprire se si è pazzi”.

    Le conseguenze di questa invasione mediatica sono assai perverse nelle persone, specialmente nei più giovani. La difficoltà di meditazione, a causa degli infiniti impulsi esterni che ci bombardano anche (e soprattutto) a livello subliminale e inconscio; la scarsa, se non del tutto assente, passione per la lettura, attività che richiede grande concentrazione e raccoglimento in sé stessi, estraneazione dal mondo esterno; infine la voglia quasi libidinosa di sottomettersi agli impulsi mediatici, fino a creare una dipendenza totale, un ennesimo modo per colmare i propri vuoti spirituali.

    Qual è la nostra concezione di civiltà e soprattutto di libertà, dinanzi a uno scenario terribile come questo, dove risulta evidente il controllo e la manipolazione da parte di pochi di un’ideologia di massa globale?

    fonte



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    ma sono l'unica ad aver notato questo cambiamento nella gente? o anche voi ritenete che i vostri rapporti interpersonali con le persone si siano livellate ad una tale educazione e diplomazia e di conseguenza ipocrisia, nella gente da rasentare uno stato di beato buonismo?
     
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    me la canto e me la suono, ma va bene lo stesso tutto serve per capire per dire "io mi sono capita" :lol:


    CITAZIONE
    ma sono l'unica ad aver notato questo cambiamento nella gente? o anche voi ritenete che i vostri rapporti interpersonali con le persone si siano livellate ad una tale educazione e diplomazia e di conseguenza ipocrisia, nella gente da rasentare uno stato di beato buonismo?

    No, evidentemente non sono l'unica a pensarla in questo modo e quello che mi dà orgoglio è che a scriverlo, non è un'ignorante come me, ma uno studioso, in alcuni passi (che metto in grassetto) condivido in pieno il suo pensiero :si:

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    "Strade, percorsi e deviazioni" di Fabio Saccenti

    Ascoltare i racconti, le storie di vita dei nonni, dei genitori e di chi ci ha preceduto in generale presenta sempre gli stessi schemi emotivi di risposta: noia e disinteresse da un lato, quindi anche un discreto sforzo nel continuare l'ascolto, partecipazione e trascinamento dall'altro come a volere che il racconto non finisse mai. Questi due atteggiamenti possono essere presi come discriminante fra due modi distinti di percepire il mondo, non quello passato del narratore bensì quello presente dell'ascoltatore.

    L'aspetto emotivo gioca un ruolo fondamentale che va oltre il rapporto diretto con la persona che narra la storia poiché esso si basa, al di là dei dettagli specifici del racconto, sulla sensazione di come in passato il mondo veniva sperimentato, il contatto con una percezione differente. Per esempio i racconti dei nonni riguardano in maggioranza eventi accaduti in tempi di guerra, periodo questo di grandi difficoltà sociali ed economiche e può quindi stupire come tali narrazioni siano spesso pregne di un generale ottimismo, di voglia di vivere nonostante tutto, pur essendo inserite in un contesto da cui ci si aspetterebbe il contrario.


    I rapporti umani erano il centro di tutto, l'intensità veniva da ciò che la gente faceva insieme per superare le difficoltà, la concezione che si fosse tutti sulla stessa barca.

    L'affermazione tipica dell'anziano che dice “il mondo non è più come una volta” non significa che rimpianga la guerra, il travaglio e gli stenti di una nazione sconfitta non piacciono ai guerrafondai che anzi tendono ad occultare questa parte della storia.

    L'atteggiamento malinconico che spesso accompagna questi racconti è ciò che determina la reazione dell'ascoltatore: noia, distacco, quasi disprezzo per un mondo incomprensibile oppure, all'opposto, ammirazione, attrazione verso un modo diverso di vivere la vita.

    La diffusa nostalgia, il rimpianto presenti in queste narrazioni scaturiscono dal ricordo di un mondo meno complicato, in cui non si era così soli e che non era così spaventoso come quello attuale benché oggi, per ora, non vi sia guerra in patria, si mangi carne tutti i giorni e siamo circondati da ogni ben di Dio fra cui, in primis, un bellissimo oggetto rettangolare, sottilissimo oggi, che emette onde luminose e sonore sia a livello supraliminale che subliminale.

    La nostalgia per un mondo perduto in cui tutto ciò che accadeva era sempre codificabile e quindi comprensibile, in cui la persona trovava sempre la propria collocazione, il proprio ruolo.

    La nostra mente in quei tempi non era il marasma di pensieri contraddittori a cui siamo abituati, una miriade di desideri e proiezioni che ci spingono continuamente e che non conoscono mai quiete, stato che riconosciamo anche nei nostri simili e che quindi consideriamo normale.

    Nemmeno il fatto che nella società odierna un gran numero di persone soffra di forme più o meno gravi di malattie psichiche ci provoca il minimo dubbio. Dopo la II° guerra mondiale, nel mondo occidentale, abbiamo creato una ricchezza materiale superiore a quella di qualsiasi altra società nella storia del genere umano. ( vorrei aggiungere tanto altro, ma è meglio che mi sto zitta)
    Più del novanta per cento della nostra popolazione sa leggere e scrivere. Rispetto a un secolo fa, la media del nostro orario di lavoro è stata drasticamente ridotta, abbiamo oggi più disponibilità di tempo libero di quanto i nostri nonni osassero sognare. Ma cosa è successo? Non sappiamo far uso del tempo libero di cui siamo venuti a disporre e siamo contenti quando un altro giorno è trascorso. Abbiamo, radio, televisione, cinema e adesso anche internet. Ma invece di offrirci il meglio della letteratura, della musica e delle arti visive di oggi e di ieri, questi mezzi di informazione, con l'aggiunta della pubblicità, riempiono la mente dei programmi più scadenti, privi di qualsiasi senso della realtà, pieni di sadiche fantasie; la mente di tutti, giovani e vecchi è sottoposta ad un costante avvelenamento.

    I paesi più poveri registrano la più bassa incidenza di suicidi, mentre d'altro canto, in Europa, all'aumento della prosperità materiale si accompagna un aumento dei suicidi, dell'alcolismo e del consumo di droga. Se si osservano i dati e la statistiche disponibili si scoprirà che i paesi più democratici, pacifici e progrediti mostrano i più gravi sintomi di disturbi mentali.

    Una vita di prosperità, mentre soddisfa i nostri bisogni materiali, ci lascia un sentimento di intensa noia, rispetto alla quale il suicidio e l'alcolismo sarebbero vie d'evasione. La meta di tutto lo sviluppo occidentale è stata una vita materialmente comoda e proprio i paesi che si sono avvicinati di più a tale meta mostrano gli squilibri mentali più accentuati. Tutto questo sembrerebbe indicare la validità del vecchio detto “l'uomo non vive di solo pane” e mostrerebbe come la civiltà moderna non riesca a soddisfare le intime esigenze dell'uomo.

    Tuttavia nessun scienziato, psicologo o medico che appartenga alla cultura dominante potrebbe mai ammettere che una intera società possa essere psichicamente malsana. Essi ritengono che il problema risieda sempre negli individui “disadattati”, coloro che, pervicacemente, si ostinano a non accettare tale stato di cose e non in un eventuale difetto della cultura stessa. Il lavoro della psichiatria, della psicanalisi, della farmacologia, consiste al 90% nel “curare” i sintomi allo scopo di reindirizzare la persona nei ranghi sociali, non a risolvere il suo problema specifico. A una persona che domani dovrà andare a farsi sfruttare, tramite un bel lavoro di PNL noi possiamo anche cambiargli la “mappa del territorio”, ma non per questo domani gli farà meno male.

    I bisogni e le passioni dell'uomo, la sua particolare condizione di esistenza nonché ciò che egli condivide con l'animale come la fame, la sete e la soddisfazione sessuale, sono importanti essendo radicati nei processi chimici interni del corpo ma nemmeno la loro completa soddisfazione costituisce una condizione sufficiente per l'equilibrio umano. Questo dipende dalla soddisfazione di quei bisogni che sono specificamente umani, che sorgono dalle condizioni della situazione umana: i bisogni di correlazione, trascendenza, radicamento, il bisogno di un sentimento di identità e il bisogno di un sistema di orientamento e di devozione. La soluzione che l'uomo dà ai suoi bisogni fisiologici è estremamente semplice: è una questione meramente economica.

    La soluzione che l'uomo dà ai suoi bisogni specificamente umani è straordinariamente complessa e dipende da molti fattori: ognuno di essi è comunque contenuto nel modo in cui la società è organizzata e da come questa organizzazione li determina. Se le necessità spirituali propriamente umane non trovano soddisfazione il risultato è la pazzia; se ad esse si corrisponde ma in modo non soddisfacente, la conseguenza è la nevrosi, sia palese sia nella forma di deficienza socialmente strutturata. Oggi ci incontriamo con persone che agiscono come automi: che non hanno mai avuto un'esperienza veramente propria, che conoscono se stessi non come sono nella realtà, ma come gli altri si attendono che siano, il cui sorriso convenzionale ha sostituito la risata genuina, le cui chiacchiere insignificanti hanno sostituito il colloquio comunicativo, la cui opaca disperazione ha preso il posto di un'autentica sofferenza. Soffrono di una mancanza di spontaneità e individualità incurabile, ma non sono diversi da milioni di altri loro simili.


    Alla maggior parte di loro la società fornisce strutture che li mettono in grado di vivere in tali condizioni senza, diciamo, ammalarsi in modo manifesto. È come se la cultura occidentale attuale fornisse il rimedio contro le esplosioni di evidenti sintomi nevrotici, conseguenza della deficienza che questa stessa cultura ha provocato.

    Ma per una minoranza tali modelli non funzionano perché essa è composta di individui che non possono esimersi dal tentativo di dare una risposta al problema esistenziale dell'uomo. La loro risposta potrà essere migliore o peggiore di quella data dalla cultura in cui vivono, tuttavia essa è sempre una risposta alla stessa fondamentale domanda posta dall'esistenza umana. L'enorme energia delle forze che producono le cosiddette malattie mentali, così come quella propria delle forze che stanno alla base dell'arte e della religione non può essere concepita come conseguenza di bisogni materiali-fisiologici frustrati o sublimati; essa rappresenta il tentativo di risolvere il problema dell'esser nato uomo.

    Fino a poco tempo fa l'uomo, a qualunque ceto sociale appartenesse, aveva mille occasioni per partecipare, sperimentare, realizzare e creare anzi, più si era in basso nella scala sociale più c'era la possibilità di essere artigiani, mestieranti, lavoratori detentori di una cultura e di una tradizione. Benché l'alfabetizzazione fosse molto più scarsa, l'uomo che si affacciava al lavoro e alla vita sociale trovava molti più insiemi di valori di cui entrare a far parte, i quali lo inserivano in una rete di protezioni e fornivano un senso alle sue azioni. In questa nostra epoca, l'operaio non “sente” e non comprende più il legno, il cuoio, il metallo...la sua opera è inanimata, incapace di emanare o irradiare alcuna vibrazione di vita, non avendola ricevuta a sua volta. È stato steso un velo fra l'uomo e le cose.

    Le cose quindi permangono, ma l'essere vivente perde la propria vita soffocando la propria coscienza. Il lavoro è sempre più monotono, automatico e quanto più i pianificatori, i cronometristi e i direttori tecnici continuano a spogliare l'operaio del suo diritto di pensare e muoversi liberamente più la vita è rinnegata. Il bisogno di controllo uccide la creatività, la curiosità e il pensiero indipendente stanno per essere completamente inibiti e il risultato, l'inevitabile risultato, è la fuga in mondi fittizi, l'apatia, la distruttività o la regressione psichica. Nel secolo scorso la parola “alienazione” è stata usata da Hegel e da Marx riferendosi non a uno stato di pazzia ma ad una forma meno violenta di autoestraniamento, la quale consente a una persona di agire ragionevolmente in questioni pratiche ma che costituisce una delle più gravi deficienze socialmente strutturate.

    Marx intendeva per alienazione la condizione in cui l'uomo percepisce come i “propri atti diventino per lui un potere alieno, che lo sovrasta o gli si oppone, invece di essere controllato da lui”. [1] Qui per alienazione si intende il medesimo concetto che i profeti del vecchio testamento presentavano come idolatria.

    La differenza fra monoteismo e politeismo non sta nel “numero di dei”, ma nel fatto che l'uomo, in preda all'autoalienazione, impiega le sue energie e le sue capacità per costruire un idolo, adorando poi quest'idolo anche se altro non è che uno sforzo delle sue mani. Inchinandosi davanti al suo stesso lavoro idolatra le sue stesse forze vitali in forma alienata. Dio è irriconoscibile e indefinibile, non è una “cosa”, se l'uomo è fatto a sua somiglianza è quindi portatore di qualità infinite. Nell'idolatria l'uomo si inchina e si sottomette ad una sola qualità parziale che è in lui. Egli non si riconosce come portatore di atti di ragione e d'amore, diventa una cosa, il suo prossimo diventa una cosa, proprio come sono cose i suoi dei.

    Le stesse religioni monoteistiche dominanti oggi sono in larga misura degenerate verso l'idolatria. L'uomo proietta il suo potere d'amore e di ragione in Dio; egli non li sente più come suoi poteri e perciò egli prega Dio di dargli di ritorno qualcosa di quello che lui, uomo, ha proiettato in Dio. Anche ciò che oggi di frequente viene chiamato “amore” non è altro che un fenomeno idolatrico di alienazione; soltanto che in questo caso non si adora né Dio né un idolo, ma un'altra persona. Proiezione dell'amore, della forza, del pensiero nell'altra persona: sottomissione completa.

    Non si vede la persona amata come un altro essere umano nella sua realtà poiché non si vede se stessi nella propria piena realtà, come portatori di poteri umani. La separazione generalizzata che caratterizza la nostra epoca, la sua essenza diabolica ( dal latino “Diàbolus” come dal greco “Diàbolos”: “Dividere”) segregando lo spirito dal corpo, la coscienza dall'azione, il lavoratore dal suo prodotto, oscura qualunque punto di vista unitario sull'attività compiuta, come ogni comunicazione personale diretta tra spiriti, tra agenti come tra produttori.

    Seguendo il progresso di accumulazione di oggetti materiali, nonché l'accumulo di montagne immense di rifiuti, la concentrazione del processo produttivo in luoghi chiusi e lontani, invisibili ai consumatori, dove la schiavitù ha raggiunto livelli tali che, se mai fosse stato possibile, oggi sicuramente si potrebbero costruire le Piramidi a forza di braccia, sabbia e carrette, in un contesto simile, l'unità e la comunicazione divengono attributo esclusivo di chi dirige il sistema. Per la riuscita stessa di un tale sistema l'esperienza fondamentale, che nelle società del passato era legata al lavoro e al suo prodotto concreto, si sposta oggi, al polo di sviluppo del sistema, verso il non-lavoro, l'inattività. Non certamente nel senso che si è liberati dal lavoro, al contrario, è sottomissione inquieta alle necessità della produzione. Così l'attuale “liberazione dal lavoro”, l'aumento degli svaghi, non è in alcun modo liberazione nel lavoro, né liberazione di un mondo modellato su questo lavoro; è un sistema economico fondato sull'isolamento.

    L'isolamento fonda la tecnica e il processo tecnico isola di rimando. Dall'automobile alla televisione, tutti i beni selezionati dal sistema sono anche le sue armi per il consolidamento costante dell'isolamento delle “folle solitarie”. Non si può comprendere appieno la natura dell'alienazione senza considerare un aspetto particolare della vita moderna: la sua routinizzazione e la repressione della consapevolezza dei problemi basilari dell'esistenza umana. L'uomo può realizzare se stesso soltanto se resta in contatto con i fatti fondamentali della sua esistenza, se può provare l'esaltazione dell'amore come il tragico fatto della sua solitudine.

    Se egli è totalmente irretito nella routine e nell'artificiosità della vita perde il contatto con se stesso e oggi questo allontanamento si fa sempre più grande. L'uomo ormai non si riconosce come portatore di poteri e di ricchezza bensì come una mera “cosa” dipendente da poteri esterni, entro i quali ha proiettato la sua sostanza vitale.

    L'alienazione come noi la troviamo nella moderna società è quasi totale; essa permea le relazioni dell'uomo col suo lavoro, con le cose che consuma, con i suoi simili, con se stesso. Ma quando è iniziato tutto questo? Cioè come siamo arrivati a questo punto? A sentire gli storici ufficiali sarebbe un processo iniziato con la cosiddetta “seconda rivoluzione industriale” il cui apice sarebbe arrivato, come abbiamo detto, dopo la seconda guerra mondiale.

    Direi che si può sorvolare su questo punto di vista per prenderne in considerazione un altro, molto più interessante, il quale considera sì questi ultimi tempi come un' apice, ma di un periodo molto più lungo, iniziato molto prima e che ha tutte le caratteristiche del passaggio di un era. Secondo il grande studioso e pensatore R.A. Schwaller de Lubicz ci ritroviamo a vivere nella fase finale di un'era che, come il Kali-yuga dell'induismo, ha tutte le caratteristiche di una “deviazione”, ma da cosa?

    Dalla nostra vera identità, dalla nostra vera natura e reali capacità. Distacco necessario come necessaria è l'esistenza di una tale era oscura poiché, come nella vita individuale, è necessario allontanarsi,”cadere”, perdere qualcosa per rendersi conto del suo reale valore. Per questo grande studioso dell'esoterismo e del sapere dell'antico Egitto, luogo quest'ultimo che rappresenta il polo opposto, il punto da cui è partita la deviazione, è a partire dai “greci ragionatori”, dalla scuola di Elea fondata nel 550 o 500 a. C. in Grecia che è cominciato tutto. Questi cinque secoli anteriori al passaggio precessionale dall'Ariete ai Pesci curiosamente corrispondono al nostro XVI secolo, punto di partenza di un rinnovato razionalismo, umanesimo e meccanicismo che arrivano al loro apice oggi, nel passaggio tra i Pesci e l'Acquario. Allora vennero gettate alle ortiche tutte le cosiddette superstizioni, tutti gli spiritualismi, tutte le convinzioni definite chimeriche della creazione, offrendo a coloro che pensavano di “sapere” un terreno solido per costruirvi un mondo a loro immagine. ILa vita però non si spiega meccanicamente, sfugge alla logica e, attraverso l'uomo, può persino realizzare cose che vanno contro o al di là della natura stessa.

    l radicalismo della visione di Lubicz sta nel fatto di vedere l'intera storia del pensiero occidentale come, per così dire, niente di più che un brutto scherzo. Il progredire inesorabile di un materialismo il cui obiettivo è sempre stato quello di eliminare dalla vita e dal fenomeno naturale il momento irrazionale, astratto, ma che tuttavia si imporrebbe intuitivamente. Il risultato di tutto ciò sarà quello di creare una gran fatica e di condurre ad una sorta di rassegnazione che oggi ha raggiunto il suo apice.

    Vi è un'incertezza generale che causa disordini sia sociali che individuali, ma che la massa degli uomini si limita a subire senza capirne l'origine. Se questo è il risultato della continua e millenaria attività di massa di alieni, Lux, di Satanidi 6 dita o di qualsivoglia altro parassita, “sfidante” o “volador” come lo definisce la tradizione mesoamericana, non sembra però essere un'opera guidata dalla lungimiranza poiché, al punto in cui siamo, il collasso e quindi il “reset” del sistema stesso appaiono come lo sbocco naturale. La misura è colma. Gli sciamani dell'antico Messico ad esempio ne erano perfettamente consapevoli. Scoprirono infatti quello che loro chiamano “il compagno che resta con noi per tutta la vita”, un “predatore” che emerge dalle profondità del cosmo e assume il dominio della nostra vita. Gli uomini sono prigionieri di questa entità che ci ha resi docili e impotenti, che soffoca le nostre proteste, che non ci permette di agire in modo indipendente. Si spiega benissimo così la contraddizione tra l'intelligenza dell'uomo che costruisce, organizza e la stupidità del suo sistema di credenze, oppure la stupidità del suo comportamento contraddittorio. Secondo gli sciamani sono i predatori a instillarci i sistemi di credenze, le consuetudini sociali. Sono loro che definiscono le nostre speranze e aspettative riempiendoci di avidità, codardia, abitudinarietà, egoismo e inclinazione all'autocompiacimento. Questi predatori hanno preso il sopravvento perché siamo il loro cibo, la loro fonte di sostentamento e ci spremono senza pietà. “Sono efficienti e organizzati, seguono metodicamente un programma destinato a renderci del tutto impotenti. L'uomo, l'essere che era destinato ad essere magico, non lo è più. Si è ridotto a un banale pezzo di carne. Non ci sono più sogni degni dell'uomo, ma ci sono solo i sogni di un pezzo di carne: triti, convenzionali, stupidi” [2].

    Gli antichi sciamani vedevano l'universo popolato di esseri dotati di consapevolezza ma non di corpo fisico ed è per questo che li chiamavano esseri inorganici. L'uomo medio si accorge di qualcosa solo quando approda nello spazio-tempo a lui accessibile che necessariamente è molto limitato.

    Gli sciamani, disponendo di un campo di consapevolezza molto vasto, possono invece registrare l'arrivo di qualcosa di estraneo. Innumerevoli entità provenienti dall'universo, aventi consapevolezza ma non organismo, atterrano nel nostro campo di coscienza e ci schiavizzano, senza che l'uomo medio ne abbia sentore. L'opera rivoluzionaria degli sciamani di tutte le epoche e culture, sta nel rifiuto di onorare un accordo cui non hanno partecipato. Nessuno ci ha mai chiesto se acconsentivamo a darci in pasto a esseri dotati di una diversa consapevolezza. Semplicemente i nostri genitori ci hanno messo al mondo perché fossimo cibo, proprio come loro, questo è quanto.

    L'uomo è scaraventato in questo mondo senza che egli lo sappia, lo approvi o lo voglia e poi, senza di nuovo approvarlo o volerlo, ne è strappato di nuovo. In questo non è diverso dall'animale, dalla pianta o dalla materia inorganica. Essendo però dotato di ragione ed immaginazione non può accontentarsi della passiva condizione di creatura. Egli è mosso dallo stimolo di trascendere il suo stato di creatura e l'accidentalità e passività della sua esistenza, diventando “creatore”. L'uomo è nato per essere libero.
    .
    [1] K. Marx, Il capitale.
    [2] Carlos Castaneda, Il lato attivo dell'infinito.

    fonte Pubblicato da federicobellini
     
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1 replies since 8/6/2011, 17:15   84 views
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