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Sto leggendo, anzi rileggendo, la "Brevità della vita" di Seneca, un classico del pensiero latino. Mi affascina soprattutto la sua concezione del tempo e dell'uomo, un essere sempre affaccendato, tanto da sembrare immortale.
Il tempo "lo si richiede come se niente fosse, lo si dà come fosse niente perché è immateriale, perché non cade sotto gli occhi e perciò è valutato pochissimo, anzi non ha quasi prezzo". Quindi, precisa Seneca, "nessuno dà valore al tempo; ne usano senza risparmio, come fosse gratis. Ma vedili quando sono ammalati, se incombe pericolo di morte, toccare le ginocchia dei medici; se temono la pena capitale, pronti a sborsare tutto quello che hanno pur di vivere: tanto sono discordi i loro sentimenti".
Infatti, "a quelli che amano di più ripetono di essere pronti a dare parte dei loro anni. Li danno senza rendersene conto: lì danno in modo da toglierli a sé senza accrescerli a loro. Ma non sanno neppure se li totgono", perché nessuno conosce il tempo che gli resta da vivere. E da qui una straordinaria similitudine con il naufrago: "Come credere che ha molto navigato chi la tempesta ha sorpreso all'uscita del porto, menandolo qua e là in un turbine di venti opposti e facendolo girare in tondo entro lo stesso spazio.
Non ha navigato molto, ma è stato solo sballottato". L'essere umano è un naufrago: pensa di vivere, ma si lascia vivere, sempre il balia di tempeste apparenti e sempre alla ricerca di false emozioni, che non portano a nulla, se non all'infelicità. Questo perenne affaccendarsi fa accorciare il tempo, che è relativo, perché la concezione delle ore che passano cambia a seconda delle cose da fare.
Per l'annoiato il tempo scorre lentamente, invece per l'affaccendato le lancette dell'orologio si muovono velocemente. Allora qual è la ricetta per vivere bene e godersi la vita? Scoprire il velo di Maya, che ci annebbia la vista e ci rende le cose apparentemente difficili, anche se sono semplici, perché, come dice Seneca, "la vita se la sai usare è lunga".
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