L'isola dei favolosi

Sardegna: i Pozzi Sacri alla Dea Madre

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  1. Emo24eVer
     
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    Sardegna: i Pozzi Sacri alla Dea Madre
    Sull'isola sarda esistono migliaia di reperti megalitici di origine sconosciuta, dai nuraghi ai pozzi sacri alla Terra. Ma qual è la simbologia di questi luoghi d'acqua? E perché la Dea Madre sembra diventare "Moglie"?
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    (Sopra) Il Pozzo di Santa Cristina, a Paulilatino, in provincia di Oristano: si tratta del pozzo sacro meglio conservato della Sardegna. La forma riproduce nel dettaglio l'anatomia degli organi sessuali femminili, con tanto di grandi labbra esterne, piccole labbra (la struttura a forma di chiave), la vagina, l'uretra e il clitoride.
    La Sardegna è una terra mitica, meravigliosa, stupefacente. Ne è riprova l'analisi del Pozzo di Santa Cristina, a Paulilatino, in provincia di Oristano. Si tratta di un'area archeologica eccezionale, forse unica nel genere perché perfettamente conservata. I costruttori di megaliti qui diedero il meglio di sé: un'apertura trapezoidale, clamorosa e inequivocabile, conduce, attraverso una scalinata perfettamente levigata, al pozzo interno in cui sgorga l'acqua sacra e curativa. Il complesso è allineato con la Luna in modo tale che ogni 18 anni e mezzo circa la luce del satellite naturale vada a riflettersi nell'imboccatura trapezoidale. Il particolare è importantissimo perché si riferisce alla durata esatta dell'Anno Lunare astronomico e si può equiparare al concetto di generazione. Ogni 18 anni una nuova generazione umana è pronta al concepimento, al rinnovamento della popolazione. Si tratta di un rito sociale prima ancora che naturale. Il pozzo ha una lunghezza complessiva di 9 metri ed è scavato verticamente fino alla profondità di 6,5; la scalinata di accesso ha 18 scalini (chiaro riferimento lunare).
    La fonte è sormontata da una cosidetta cupola a tholos, una specie di imbuto rovesciato che esternamente appare come una piccola apertura e che invece internamente mostra dimensioni ragguardevoli. Ma è la vista aerea ad essere rivelatrice di questo particolare progetto: si tratta senza ombra di dubbio di un gigantesco organo sessuale femminile, con tanto di vulva, piccole e grandi labbra, persino quell'organo di piacere che è il clitoride! La conoscenza dell'anatomia muliebre è senza dubbio interessante, ma lo è ancor di più il simbolismo tellurico che i costruttori di tali pozzi inserirono nella realizzazione delle opere. La terra madre diviene anche moglie, figlia, nel pieno rispetto dell'ideale della Triplice Dea. L'aspetto legato al piacere sessuale è estremamente importante e nessuno, crediamo, l'ha mai sottolineato. Il clitoride è un organo analogo al pene maschile ed è la principale (se non unica) sorgente dell'orgasmo femminile. La cultura patriarcale ha da sempre demolito quest'idea, legando il piacere femminile esclusivamente alla penetrazione, in una logica riproduttiva; al contrario il paganesimo e le streghe praticavano usanze diverse dalla penetrazione maschile, puntando maggiormente sull'amore e sul piacere che non sull'aspetto generativo. Ecco così due filosofie distinte, da un lato quella vetero-pagana che pone l'accento sulle sensazioni della donna e sul suo diritto a provare l'orgasmo, come l'uomo; dall'altro quella patristico-cristiana che nella sua logica di cancellazione dell'Antica Religione, opera attraverso una demolizione sistematica degli aspetti femminili, primo fra tutti la sessualità. Il sesso così diviene "peccato" e il piacere, specialmente quello delle donne, "un abominio". Fino a metà del XX Secolo questa concezione fu dominante in tutto l'Occidente e ricordiamo con orrore le considerazioni della psicanalisi, come quelle di Freud, secondo cui il clitoride era un residuo evolutivo senza valore da rimuovere alla nascita. Ancor oggi comunque sono migliaia i casi di bambine operate di clitoridectomia, versione industrializzata dell'infibulazione africana… Queste tristi (se non criminali) pratiche sono il frutto di secoli di dominio patriarcale, un dominio che ha condotto il pianeta sull'orlo della distruzione.
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    sopra Il Pozzo di Santa Cristina ha valenze astronomiche lunari e anatomiche femminili, è un chiaro riferimento alla Madre Terra e alla Luna, nel pieno rispetto dell'ideologia della Triplice Dea
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    La cupola interna assume una valenza di coppa, il Graal delle leggende medievali altro non sarebbe che il ventre della Madre Terra.
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    La Dea Madre Sarda viene stilizzata in un aspetto cruciforme, con il naso a becco a sottolinearne l'origine avicola della primigenia Dea Uccello e i seni prominenti.

    Il Pozzo di Santa Cristina invece ci racconta di un'esaltazione della femminilità e di un suo rispetto religioso e sacrale. Qualche studioso ha voluto vedere nell'acqua dei pozzi sacri sardi il liquido amniotico e senza dubbio una possibile verosimiglianza di questa tesi ci può essere; ma a nostro avviso si tratta letteralmente di liquido vaginale, il normale liquido che tutte le donne possiedono. L'acqua sacra sarebbe quindi la parte più intima e privata del pianeta, recuperarla per berla e utilizzarla a scopi umani avrebbe il significato simbolico di avere un rapporto sessuale con la Terra, la quale "godrebbe" nel soddisfare i bisogni dei suoi abitanti, nel dare amore e nel riceverlo. Si creava così un rapporto di amore tra gli esseri umani e il pianeta, che non si limita a garantirne la sopravvivenza come madre ma, come moglie, in un certo senso supera il senso dell'amore incondizionato materno, realizzando un rapporto più complesso di quello madre-figlio, che implica diritti e doveri diremmo "coniugali" da entrambe le parti. Il concetto di Triplice Dea, legato tanto alla Luna quanto alla Terra, spiega perfettamente la visione delle tre età della donna e degli aspetti della sua femminilità da rispettare. A Santa Cristina, in definitiva, la Terra diviene nostra consorte e ci offre la sua intimità… La stessa analisi si può rinvenire in un altro pozzo sacro, quello di di Santa Anastasia (o di "Puttu de is dolus") che si trova all'interno del paese di Sardara, in provincia di Cagliari. Questo pozzo è un po' più piccolo di quello di Paulilatino (6 metri circa di lunghezza, per 5 di profondità del pozzo) ed è anche meno curato, per via delle pietre grezze e non rifinite. Vanta la solita apertura trapezoidale, ormai firma architettonica dei costruttori di megaliti, e anche una scalinata con dodici scalini, evidentemente simboleggianti i mesi dell'anno. Tredici scalini invece ha un altro pozzo sacro, quello di Santa Vittoria di Serri, in provincia di Nuoro, che è anche attualmente il complesso dimensionalmente più grande (11 metri). Il tredici ha valenze stellari e gli scalini continuano ad avere, nei pozzi sardi, un simbolismo astronomico. Comunque Santa Vittoria ha un aspetto più simile a Santa Cristina, anche se mostra la volta a tholos crollata e quindi è andato perduto l'allineamento lunare. Ovunque però si legge il linguaggio universale dell'astronomia, unito quasi paradossalmente a quello dell'anatomia.
    Secoli di dominio cristiano non hanno cancellato le tracce e anzi mano a mano che si studia il territorio sardo, emergono altri pozzi, come la fonte sacra di Su Tempiesu che si trova in territorio di Orune, in provincia di Nuoro; la piccola fonte sacra di Funtana 'e Baule, a Ittireddu, in provincia di Sassari; il pozzo sacro Milis, a Golfo Aranci in provincia di Olbia-Tempio. La simbologia trapezoidale è talmente evidente che ci stupisce che nessun archeologo italiano abbia potuto avanzare un'ipotesi di analogia costruttiva tra i pozzi e l'Antro della Sibilla di Cuma, in provincia di Napoli, che è l'esempio più evidente di cavità a trapezio. Una forma che secondo alcuni archeologi è un anticipo dell'arco e che noi abbiamo dimostrato essere utilizzata in moltissimi luoghi nel mondo, tutti accomunati dalla presenza di pietre megalitiche. E la Sardegna di megaliti ne ha migliaia, 3 o 4mila, senza contare i 12mila nuraghi e le 321 Tombe di Giganti! Eppure è sconcertante il modo in cui questa terra antichissima viene trattata dagli studiosi. Un vero razzismo culturale disprezza la popolazione e la sua arte antica di decine di migliaia di anni, manufatti immensi e stupefacenti vengono sminuiti in modo sistematico da archeologi miopi quanto ortodossi. Ma è possibile, diciamo noi, distruggere il senso di reperti che sono all'origine della storia dell'uomo? E' possibile fare a pezzi intellettualmente il senso stesso della realizzazione di monumenti stupefacenti come quelli sardi? Non parliamo dei nuraghi, le torri di funzione sconosciuta che a migliaia costellano il territorio. Non parliamo delle Tombe dei Giganti, incredibili cimiteri di uomini alti tre, quattro metri.
    Qualcuno, in Sardegna, racconta di incredibili ritrovamenti di questi Giganti, ritrovamenti ad opera di operai, contadini, ecc. che hanno avuto l'onestà (o l'ingenuità) di avvertire le autorità, per poi vedere la scoperta di quelle ossa immense finire nel dimenticatoio, evidenemente troppo scomode per essere rivelate. Fantasie, quelle dei contadini? E' comprensibile l'atteggiamento della Scienza ufficiale, comprensibile e umano, ma non giustificabile. Peccato che i Giganti costellino la storia e le tombe umane. Peccato che nelle tradizioni di tutto il mondo esistono questi esseri civilizzatori, peccato che sia esistita nel più remoto passato (almeno 8mila anni fa) una popolazione di stirpe indoeuropea che abbia colonizzato in mondo e che abbia lasciato le sue tracce nei giganteschi megaliti. E se le ossa di Giganti possono essere fatte sparire, le pietre altre quattro metri e pesanti 200 tonnellate non possono essere mosse se non ricorrendo alle più costose e sofisticate gru. E quindi è nel retaggio simbolico di questi monumenti che possiamo trovare tracce di quel remotissimo popolo, di cui i Sardi forse oggi costituiscono i discendenti; certamente la Sardegna, per via dell'incredibile numero di monumenti megalitici, era un'area particolarmente sacra, almeno quanto la Gran Bretagna, con la quale condivide l'antichità geologica del territorio. Gli studiosi affermano che i pozzi sacri sono stati costruiti intorno al 1000 AEC dal popolo dei Nuraghi, quegli stessi Shardana ("il Popolo del Mare") descritto dagli Egizi e usato come guardia del corpo personale dal faraone Ramses II. Ma a noi questo discorso pare riduttivo, perché strutture analoghe sono state trovate in Russia e nell'area caucasica in tempi ben più remoti (almeno il 2500 AEC). I primi uomini Sapiens-Sapiens a popolare la Sardegna in realtà furono i Crô-Magnon risalenti a 16mila anni fa rinvenuti nella grotta di Corbeddu a Oliena. La questione si intreccia con il discorso sull'origine del primo popolo indoeuropeo insediatosi nel Mediterraneo, i Liguri. Furono infatti senza dubio i Liguri ad occupare proficuamente un'area che andava dalla Spagna (Cadice) fino all'Italia, alla Campania per la precisione. Chiaramente la Sardegna, e la Corsica, si trovavano nel centro di questo tratto di mare e non è assurdo pensare che sia stato questo popolo antico di 25mila anni il primo colonizzatore dell'isola. In effetti in tutta l'area descritta si rinvengono pesanti tracce megalitiche: la Spagna ha due luoghi particolarmente misteriosi come Elche e la stessa Barcellona, ove il culto stellare della Dea Madre potrebbe essere antichissimo. Poi l'area dei Pirenei nasconde innumerevoli megaliti e connessioni telluriche, come la celebrerrima Rennes-le-Chateau. La Linguadoca e la Provenza sono altri luoghi megalitici ricchi di testimonianze, così come la Liguria, la parte occidentale dell'Emilia, la costa toscana e quella laziale, in cui sorgono vere e proprie città megalitiche come Alatri. Per finire, ci ritroviamo proprio a Cuma, in cui una galleria a trapezio alta cinque metri chiude in un certo senso il cerchio del popolo dei Liguri. Ma sono questi i veri predecessori degli abitanti attuali della Sardegna? L'isola nella sua storia ha subito decine di invasioni e di colonizzazioni, per cui è scorretto parlare di un popolo geneticamente omogeneo. Però i primi Sardi accertati furono gli abitanti dell c.d. "Civiltà cardiale" che si sviluppò fino a 4500 AEC; le successe la Civiltà di Bonu-Ighinu durò fino al 3500 AEC, mentre la Civiltà di San Michele giunse fino al 2700 AEC. Gli Shardana, popolo navigatore e guerriero, giunsero più tardi e assimilarono le popolazioni autoctone, distruggendo alcune tradizioni e imparandone altre.

    Occuparono i nuraghi, trasformandoli in fortezze difensive, e prosperarono almeno fino al 500 AEC, quando l'isola fu conquistata dai Cartaginesi. Ma una parte dei Sardi originari, di origine ligure a nostro parere, emigrò verso l'Italia continentale: è stato dimostrato da autorevoli studiosi come gli Etruschi siano fortemente imparentati con alcuni Sardi odierni e che ne ereditino in un certo senso l'impronta culturale. Ciò è vero se si pensa che l'etrusco è una lingua che ha forti affinità con il leponzio e il runico, è chiaro che il retaggio indoeuropeo è fortissimo nel popolo che visse in Toscana, benché si dica geneticamente che i Tyrsenoi provenissero dall'Asia Minore. A nostro avviso, come detto più volte, se esiste una similitudine tra tutti questi popoli è di matrice culturale più che razziale o genetica. Non si può parlare di una razza bianca indoeuropea, così come non esiste una vera razza sarda o etrusca. Già nell'antichità, come oggi, gli esseri umani sono il frutto di un incrocio di molteplici genealogie e la diversità genetica è sempre stata una caratteristica vincente, che rendeva per persone più protette dalle malattie. Il discorso va quindi puntato su un piano culturale, antropologico. Liguri, Sardi, Etruschi: non importa la loro provenienza, importa il loro culto, le loro credenze, la loro impostazione filosofica. In tutti emerge il senso di una Madre Terra legata al Sole e alla Luna, legata alla fertilità, senza dubbio, ma anche alla sessualità.
     
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    interessantissimo!!!! sono particolari e affascinanti....

    la nostra terra non finirà mai di stupirci :wub:
     
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1 replies since 13/7/2008, 15:55   1512 views
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