L'isola dei favolosi

I simboli e i misteri nascosti nel Presepe

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    Quando ammiriamo antichi presepi napoletani come quello meraviglioso raccolto da Michele Cuciniello e conservato nel museo di San Martino, o quando semplicemente prepariamo il nostro casalingo, sistemando con cura figurine e dettagli scenografici, spesso ignoriamo che molti di quelli hanno un preciso significato simbolico, nato da superstizioni e leggende tutte di tradizione partenopea.

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    Elena Sica, ne “Il Presepe Napoletano” (Newton&Compton) racconta ad esempio che il “pastorello dormiente” si chiama Benino; simboleggia il nuovo anno e deve sempre esser posto vicino ad Armenzio, un pastore anziano (suo padre e simbolo dell’anno che sta per finire); attorno a loro le “pecorelle”, rigorosamente 12, come i mesi.
    A sua volta il “pozzo” si collega alle molte superstizioni legate al sottosuolo; una di queste impediva di attingere acqua ai pozzi la notte di Natale perché abitata da spiriti malvagi che avrebbero rubato l’anima a chi l’avesse bevuta. In provincia di Avellino invece erano i bimbi che dovevano stare lontano dai pozzi quella notte, per evitare la malvagia “Maria ‘a manilonga”, che afferrandoli con le sue lunghe mani li avrebbe rapiti trascinandoli con sé nelle viscere della terra. E accanto al pozzo si trova sempre la figura della “zingara”, inquietante personaggio che nell’iconografia classica regge o dei ferri o un cesto pieno di martelli, tenaglie e chiodi, simboli della Passione.
    La “fontana” invece è simbolo positivo; nei Vangeli apocrifi si narra che Maria avrebbe ricevuto l’annuncio dall’Angelo proprio mentre era intenta a riempire una brocca. E di fianco alla fontana deve stare la “lavandaia”, che sempre secondo gli Apocrifi fu la levatrice di Gesù e ne lavò i panni, rendendoli candidi come la verginità di Maria.
    I tre cavalli dei Magi hanno tre diversi colori che raffigurano il cammino del Sole (non per nulla i Magi venivano dall’Oriente, luogo dove il sole nasce); bianco come l’alba, rosso come il mezzodì e nero come la notte. Purtroppo è quasi scomparsa la figura della “Re Màgia”, compagna del Re moro, che era il simbolo della Luna.
    Di solito nel punto più alto del presepe si colloca un “castello”; è quello di Erode che, difeso da un gruppo di centurioni armati, lì resta rinchiuso fremendo di rabbia impotente per la nascita del Bambino scampato alla strage.
    Invece la “taverna” – che si dovrebbe porre vicino alla Grotta/Capanna/Stalla della Navità- ricorda sia Giuseppe che chiedeva invano ospitalità per la moglie incinta, sia (insieme a tutte le figurine del “mercato” pullulanti salumi, formaggi, verdura e cibi vari) la “fame” cronica che affliggeva il popolo partenopeo nel XVIII e XIX sec, periodi in cui il Presepe raggiunse il suo massimo successo popolare.
    Tenera è infine la storia della “donna col bimbo in braccio” da posizionare di fronte alla Grotta. Narra la leggenda che gli angeli lasciavano avvicinare a Gesù solo le mamme coi neonati; una popolana di nome Stefania, zitella e senza figli, prese un grosso sasso e lo fasciò come un bimbo. Reggendolo fra le braccia, il 26 dicembre arrivò di fronte alla mangiatoia. Improvvisamente il sasso starnutì, tramutandosi in un bambino vero: Santo Stefano.

    tratto da questo sito

     
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