L'isola dei favolosi

Posts written by beatofpleasure

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    Legge-40 di Aldo Vitale*
    *ricercatore in filosofia e storia del diritto



    Tracciare nel dettaglio l’intera storia giudiziaria della legge 40/2004, disciplinante le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA ), sarebbe impresa ardua e pressoché infinita, tuttavia, si possono profilare le linee generali delle tappe di ciò che può essere definito un vero e proprio martirio giudiziario, cioè un assalto al corpo ed allo spirito di una delle più discusse leggi degli ultimi anni.

    Per sgombrare il campo da ogni sospetto di clericalismo occorre ricordare en passant che la dottrina morale della Chiesa è contraria alla procreazione medicalmente assistita in quanto sostituzione di quella naturale che si struttura all’interno del rapporto sponsale quale momento di co-operazione della creatura con il disegno della creazione divina (come, per esempio tra i tanti, il capitolo 25 della “Humanae vitae” di Paolo VI). Affermato ciò, con la speranza di aver chiarito, seppur in modo sommario, la posizione della Chiesa, occorre esaminare la travagliata vita della legge 40/2004 partendo dal menzionare alcune note pronunce giurisprudenziali che l’hanno avuta ad oggetto. Occorre dunque procedere con ordine.



    La ratio legis
    La legge 40/2004 è stata varata per porre fine all’anarchia procreativa che era ampiamente diffusa prima della sua approvazione. Le tecniche di PMA che la legge 40/2004 è chiamata a disciplinare sono ritenute, adesso, l’estrema ratio in caso di infertilità o sterilità, come si evince già dal secondo comma dell’articolo 1. La legge 40/2004, tuttavia, non intende sacrificare agli altari della tecnica la dignità umana o mercificare l’umanità degli esseri umani che vi sono coinvolti, ed ecco perché, quindi, suggella il riconoscimento di tutti i soggetti coinvolti, cioè oltre la donna, anche il marito/convivente, e, soprattutto, il concepito.

    Tenendo presente questa tutela, soprattutto quella in riferimento al concepito, quale elemento cardine dello spirito di tutta la legge, il legislatore ha posto alcuni divieti, tra i quali il divieto di creare più di tre embrioni e, nel caso, di impiantarli tutti e tre; il divieto della fecondazione eterologa, cioè utilizzando gameti provenienti da soggetti esterni alla coppia; il divieto di utilizzo degli embrioni ai fini sperimentali; il divieto di selezione eugenetica degli embrioni malati; il divieto di crioconservare gli embrioni se non per il caso della temporanea impossibilità di impiantarli (per esempio per un evento transeunte che riguarda la salute della madre); il divieto di procedere a clonazione; il divieto di creare ibridi e chimere tramite l’incrocio di gameti di specie diversa.

    Tali previsioni costituiscono i bastioni principali del fortilizio eretto e posto a tutela del concepito dalla legge 40/2004, diuturnamente e pressantemente assediato da alcune lobbies che ricaverebbero fruttuosi guadagni dalla caduta di alcuni dei predetti divieti, da correnti minoritarie, ma ideologicamente agguerrite che portano avanti l’idea che il concepito non debba avere alcuna tutela in quanto non umano o comunque non persona, da giudici e corti inferiori e superiori, nazionali ed europee più propense ad assopirsi pigramente sulle prospettazioni delle parti piuttosto che ad esercitare un duro e faticoso lavoro di ermeneutica giuridica e filosofica, sacrificando alle ragioni dell’ideologia le ragioni del diritto e della giustizia.

    Ovviamente non tutto è bene. Come Dante fu ammonito da Minosse affinché non l’ingannasse “l’ampiezza de l’intrare”, cioè la facilità della via, poiché la via del peccato è sempre quella più facile, così non bisogna lasciarsi ingannare da quelli che sembrano gli aspetti positivi di una simile legge, soprattutto per chi pensa che il concepito debba essere tutelato. Ad essere tirata in ballo, infatti, è la dimensione filosofica ed antropologica di fondo. Se le tecniche di PMA vengono utilizzate come strumento terapeutico per sopperire ad una patologia, i problemi gius-filosofici sembrano dissiparsi per buona parte, lasciando semmai spazio a quelli inerenti alla teologia in genere ed quella morale in particolare; se, invece, le stesse tecniche di PMA, al netto della disciplina legale di riferimento, vengono intese quale momento di esercizio di un diritto, cioè il presunto diritto al figlio, o quale momento di autogoverno del proprio corpo, o quale occasione per il soddisfacimento di un desiderio (di genitorialità), la faccenda si complica non poco, soprattutto dal punto di vista biogiuridico.

    Le difficoltà aumentano se si mette in relazione la legge 40/2004 con la legge 194/1978 disciplinante la interruzione volontaria di gravidanza; la tematica è così vasta e complessa da richiedere una trattazione a sè stante, ma almeno una riflessione può essere brevemente espressa. Sebbene, infatti, le due leggi possano apparire ispirate da una logica opposta, procurare la maternità la prima ed evitare la maternità la seconda, ed in parte è vero che si fondano su valori diversi (si pensi per esempio al ruolo del padre, contemplato dalla prima, non citato dalla seconda), è anche pur vero che, a ben guardare, sono entrambe due sfumature differenti di uno stesso colore, cioè del grigiore che distingue il connubio tra non-cognitivismo etico e relativismo giuridico così di moda oggi. Si pensi a ciò che scrivono due esponenti di spicco del relativismo giuridico odierno, Natalino Irti e Stefano Rodotà, rispettivamente il primo sui valori: «Il valore giuridico del mondo dipende dal nostro punto di vista e varia col variare di esso»; e il secondo sulla disponibilità del corpo: «Le modificazioni possono essere ritenute necessarie dall’interessato per “stare bene con se stesso”, sì che diventa legittimo attrarre questo profilo nell’ambito della libera costruzione della personalità».

    Insomma, viste nel loro insieme, senza scandagliare nelle profondità normative, le due leggi, quella sulla PMA e quella sulla IVG, appaiono per ciò che sono, cioè le due facce di una stessa medaglia, ovvero della prospettiva che esaltando le capacità fabbrili dell’uomo legittimano ogni intervento a mezzo delle potenzialità ogni giorno più accresciute offerte dalla scienza e dalla tecnica. Entrambe le leggi, insomma, sono la traduzione formale in termini legali di una specifica visione antropologica che vede nell’uomo e nell’uso della tecnica che esso mette in essere, l’unica istanza superiore riconoscibile, escludente ogni altra dimensione, anche e soprattutto quella etica. Non è dunque un caso che Aldo Schiavone ritenga che «la tecnica in sé, non è fredda né calda», assegnando alla tecnica una neutralità etica che ovviamente essa non possiede, ma la de-assiologizzazione della quale è la spia più palese del passaggio dalla tecnica al tecnicismo, cioè della sublimazione ideologica dell’uso della tecnica medesima. Tralasciando queste ulteriori complicazioni, in questa sede non adeguatamente risolvibili, occorre tener presente che la legge 40/2004, sebbene condivida con la legge 194/1978, una identità della dimensione antropologica di riferimento, è anche pur vero che da essa nel concreto dei suoi dettami normativi, si differenzia, poiché, come già accennato, riconosce e tutela i diritti del nascituro con una specifica panoplia giuridica costituita dai citati divieti. Contro queste difese si scaglia da anni la giurisprudenza che pezzo dopo pezzo sembra aver proceduto ad un vero e proprio smantellamento della legge 40/2004 ignorandone o disconoscendone, si spera almeno in buona fede, la ratio che la sottende.



    Le decisioni della Giurisprudenza
    Nell’arco degli anni le pronunce sono state circa una ventina di cui solo tre sostanzialmente “favorevoli” alla legge 40/2004 e tutte le altre ad essa “contrarie”. Ovviamente, la distinzione tra “pro” e “contro” legge 40/2004 è una elementare forma di semplificazione che tuttavia, vista la limitazione di spazio e tempo per chi scrive e per chi legge, si rende necessaria per comprendere le travagliate vicende che riguardano la suddetta legge in tema di PMA. La prima pronuncia che ha visto coinvolta la legge 40/2004 è stata quella del Tribunale di Catania nel maggio del 2004 con cui si è respinta la richiesta di una coppia portatrice di betatalassemia che intendeva impiantare soltanto gli embrioni risultanti negativi ai test sulla patologia anzidetta, adducendo l’applicazione analogica della legge 194/1978 con l’idea che sarebbe stato più giusto evitare di impiantare gli embrioni malati piuttosto che impiantarli e poi ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza.
    Il Giudice di Catania ha ragionevolmente rigettato tale richiesta rinvenendo un errore logico-giuridico: la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza non poteva essere applicata al caso di specie, in quanto il presupposto affinché si applichi la 194/1978 è che una gravidanza vi sia, circostanza non presente nel caso di embrioni non ancora impiantati (sarebbe come applicare le pene per l’omicidio in assenza di omicidio o quelle sul testamento in totale assenza della volontà testamentaria). Il Tribunale di Catania riteneva inoltre che la eventuale applicazione della 194/1978 così come richiesta dai ricorrenti, non fosse corretta, in quanto la coppia richiedeva qualcosa che l’ordinamento non contempla, anzi vieta, cioè l’aborto eugenetico.

    Sempre nel 2004 il Tribunale di Cagliari, invece, in senso totalmente opposto rispetto al Tribunale di Catania, ha ammesso l’interruzione di gravidanza, sebbene dopo l’inizio della stessa e non in vista di selezioni eugenetiche, legittimata dal trovarsi in presenza di gravidanza plurima con supposti rischi per la madre e i nascituri. Si giunge infine alla ordinanza della Corte Costituzionale n. 369 del novembre del 2006 con cui la Corte Costituzionale respinge i dubbi di legittimità costituzionale sull’art. 13 della legge 40/2004 (divieto di sperimentazione sugli embrioni) sollevati dal Tribunale di Cagliari. Con queste tre statuizioni, si può affermare in un certo senso, si chiude il ciclo di interventi giurisprudenziali “favorevoli” alla legge 40/2004; da questo momento in poi, sostanzialmente tutte le successive decisioni delle Corti italiane, di merito e di legittimità, hanno proceduto allo smantellamento della legge in questione.

    Legge 40 2

    Nel 2007 il Tribunale di Cagliari e il Tribunale di Firenze hanno ritenuto ammissibile la diagnosi genetica pre-impianto ( DGP ), così come il Tribunale di Bologna nel 2009, il Tribunale di Salerno per ben due volte nel 2010. Nel 2008 il Tar del Lazio annulla per eccesso di potere le linee guida ministeriali che ricalcano quanto sancisce la legge 40/2004 nel punto in cui prevede che l’indagine sugli embrioni possa essere soltanto di tipo osservazionale e non selettivo; ancora nel 2008 il Tribunale di Firenze, per due volte, solleva dubbi di legittimità costituzionale sull’articolo 14 della legge 40/2004 (divieto di crioconservazione e soppressione degli embrioni ). Nel 2009 la Corte Costituzionale, con la storica sentenza n. 151, dichiara l’illegittimità costituzionale del limite massimo di tre embrioni producibili e il conseguente obbligo di impianto di tutti quelli prodotti. Nel 2010 ancora la Corte Costituzionale si pronuncia e conferma quanto disposto con la predetta sentenza del 2009. Nel 2010 il Tribunale di Firenze e di Catania, e nel 2011 quello di Milano, sollevano dubbi di legittimità costituzionale circa il divieto posto dalle legge 40/2004 di procedere alla fecondazione eterologa. Nel 2012 la Corte Costituzionale, riunisce i tre predetti procedimenti, e pur non esprimendosi in modo definitivo sulla fecondazione eterologa, lascia aperta una via affinché in futuro le Corti possano meglio formulare le loro decisioni in senso favorevole alla fecondazione eterologa, circostanza già venuta in essere con l’ordinanza del Tribunale di Milano del marzo 2013 con cui le toghe lombarde ritengono che il suddetto divieto di fecondazione eterologa sia contrario alla libertà genitoriale della coppia che desidera farvi ricorso. Sempre nel 2012, infine, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo stabilisce che il divieto di diagnosi genetica preimpianto ( DGP ) contemplato dalla legge 40/2004 sia contrario al diritto al rispetto della vita familiare e al principio di uguaglianza contemplati dagli articoli 8 e 14 della Carta europea dei diritti dell’uomo.



    Brevi osservazioni critiche
    Se riassumere in breve il problema e le decisioni delle toghe sul problema è impresa ardua, condensare le critiche alle citate pronunce giurisprudenziali, è praticamente impossibile; tuttavia delle considerazioni possono essere proposte più come punti di partenza che di arrivo per continuare una riflessione sul tema.

    In primo luogo: balza immediatamente agli occhi la contraddizione per cui nel 2004 il Tribunale di Cagliari ritenne di dover autorizzare una IVG a seguito di PMA in quanto in presenza di gravidanza plurima a seguito dell’impianto degli embrioni, mentre nel 2009 la Corte Costituzionale ritiene lesivo della libertà procreativa delle coppie il limite massimo di tre embrioni, favorendo dunque una produzione embrionaria superiore a detto limite. La Corte Costituzionale, ignorando del tutto il cosiddetto “stato dell’arte”, cioè la situazione scientifica al momento della sua decisione, sembra essere incorsa in un gravissimo caso di errore giudiziario. Si ritiene comunemente, infatti, all’un tempo da un lato che la limitazione degli embrioni al numero di tre, costituisca una violazione della libertà riproduttiva perché limita la probabilità della gravidanza, mentre da un altro lato che l’impianto di tre embrioni possa costituire un pericolo per la donna. Le corti sembrano essersi piegate a soluzioni molto ideologiche e poco scientifiche e ancor meno giuridico-filosofiche, ignorando, sul punto del numero degli embrioni opportuni da impiantare, quanto segue. Mentre in Italia la legge 40/2004 veniva sottoposta a referendum con la speranza che venisse abrogato il limite di tre embrioni, giudicato troppo basso, limite poi travolto dalla dichiarazione di incostituzionalità operato dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza 151/2009, all’estero gli studi scientifici indicavano la strada giusta percorsa dalla legge 40/2004.

    Gli studi sono numerosi e non si possono riportare tutti, ma a livello esemplificativo si ricordino quelli condotti, tra i tanti, in Svezia ed in Finlandia che hanno condotto alla riduzione del numero degli embrioni da impiantare fino al numero di uno solo, essendo questo il caso migliore per conciliare la sicurezza della donna con una probabilità di inizio della gravidanza non inferiore al caso di trasferimento multi-embrionario. Questo il link dello studio apparso in tal senso già nel 2005 sulla rivista “Human Reproduction” e questo quello dello studio apparso sulla autorevole rivista “Lancet” in cui si chiarisce che non sempre l’impianto di più embrioni sia la scelta ottimale sia ai fini della gravidanza, sia ai fini della salute della donna, soprattutto in relazione all’età della donna che dovrà ricevere l’impianto. Si consideri inoltre lo studio pubblicato già nel 2004, cioè mentre la fazione referendaria italiana cercava di convincere l’opinione pubblica sulla presunta ingiustizia del limite di tre embrioni come limite alla maternità, sulla prestigiosa ed autorevole rivista “The New England Journal of Medicine” sui rischi derivanti dall’impianto di più embrioni. Tutto ciò chiarito, occorre però evidenziare l’insufficienza etica e giuridica di una tale prospettiva, poiché, prescindendo dalle decisioni dei giudici e dalle ragioni scientifiche che ad esse si oppongono, non può rilevarsi che un tal modo di procedere è metodologicamente errato in quanto inspirato dal criterio della quantità e non da quello della qualità.

    In altri termini: nonostante i risultati scientifici smentiscano radicalmente l’opinione delle Corti italiane, nostro malgrado proprio a cominciare dalla Corte Costituzionale, trattandosi di embrioni, non ci si può semplicemente affidar al calcolo numerico, cioè occorre ricordare che ciascun embrione deve essere trattato per ciò che è, ovvero una individualità già geneticamente determinata e non una semplice biglia di un pallottoliere uguale a quella che la precede ed a quella che la segue, cioè sostituibile. Come ha giustamente notato Vladimir Soloviev «le verità matematiche hanno un significato universale, ma riescono indifferenti dal punto di vista morale»; ed essendo il problema dei diritti dell’embrione, un tema tipicamente giuridico e morale, non può essere ricondotto alla mera e amorale ( non immorale ) dimensione matematica che ne fa un numero, un qualcosa, producibile e riproducibile in serie industriale, invece che un qualcuno, unico ed irripetibile. La tematica potrebbe essere ancora affrontata a lungo e chiarita meglio, ma non certo in questa sede.

    In secondo luogo: pur non potendo affrontare tutti i problemi relativi all’intera disciplina della legge 40/2004, non si può evitare di accennare brevemente alla fecondazione eterologa, vietata dalla legge ed ammessa, invece, da chi la legge è chiamato ad applicare. Secondo l’opinione dominante della giurisprudenza la fecondazione eterologa garantirebbe la libertà della coppia, dimenticando i giudici che, in effetti, è proprio l’opposto per i motivi che seguono. La fecondazione eterologa lungi dal tutelare la coppia, in effetti la sgretola e ne sancisce la fine, in quanto inserisce un terzo, o perfino un quarto (cioè i donatori di gameti) soggetto all’interno della coppia medesima, come dimostra questo tra i tanti esempi citabili. Inoltre la coppia, non è una entità a sé stante, fuori dal mondo, parallela alla realtà, per cui si dovrebbe contemplare la tutela anche degli eventuali figli nati, con il metodo eterologo, che si ritroverebbero ad avere più genitori: genetici, biologici, sociali, legali.

    La genitorialità che alcuni ritengono essere tutelata dalla fecondazione eterologa, proprio da quest’ultima viene definitivamente distrutta poiché viene ad essere scissa e divisa, adespotizzata si direbbe in termini giuridici, in capo ad una moltitudine di soggetti diversi che potrebbero tutti reclamare il diritto di essere genitori, oppure rifiutare tutti un tale diritto dando vita, paradossalmente, ad un orfano in provetta, caso, quest’ultimo, meno infrequente di quanto possa apparire, a cominciare proprio dal primo del 1997. Aggiungasi inoltre che qualora la fecondazione eterologa venisse ad incrociarsi con la maternità surrogata, i problemi non potrebbero che aumentare, poiché si dovrebbe rispondere al quesito etico sul ruolo della madre gestazionale e sul rapporto di questa con il nascituro, sui diritti di questo verso chi ha condotto la gravidanza e sugli eventuali doveri della madre gestazionale nei confronti del partorito (oltre ad una serie di quesiti specificamente tecnico-giuridici: che fare se la madre gestazionale non volesse poi consegnare il nascituro come previsto per contratto? Potrebbe pensarsi ad una esecuzione coattiva? L’utero prestato per simili procedure, dovrebbe essere gratuitamente offerto o a pagamento? E perché sì o no in un senso e perché sì o no nell’altro?).

    Il pensiero post-femminista, oggi grande sostenitore della liberalizzazione della fecondazione eterologa, non sembra in grado di cogliere la portata anti-femminista di un simile metodo procreativo, anche se, pare, vi sia qualche coscienza più illuminata che si è già accorta di una simile contraddizione. Miriam Mafai, infatti, scriveva già nel 1997 sui rischi etici, sociali e giuridici di una simile tecnica: «Stiamo entrando nel grande circuito della mercificazione della gravidanza con tutti i cambiamenti giuridici, etici e psicologici che da questo possono derivare. Avremo tra breve anche noi come in America degli album tra cui scegliere le nostre incubatrici umane. Chi di noi non vorrà portare in grembo il suo bambino potrà, pagando, depositare il suo embrione altrove e tornare a riprenderlo dopo nove mesi. Si rompe così definitivamente un legame naturale, unico, nutrito di sangue e di sogni tra la madre e quello che una volta si chiamava “il frutto del ventre tuo” […]. Non tutto ciò che è possibile allo scienziato può essere considerato lecito».

    E’ evidente quindi che i Tribunali, praticamente e preoccupantemente sordi alla voce del diritto, ma ammaliati dalle sirene dell’ideologia, si adoperino per indirizzare e dirigere l’opinione pubblica pur contro le risultanze scientifiche, etiche e giuridiche, abbandonandosi a quell’attivismo giudiziario descritto e condannato dal noto ed autorevole Professore di Diritto Costituzionale dell’Università di Yale, Robert Bork, per il quale «l’attivismo giudiziario è il risultato dello schieramento dei giudici da un’unica parte della guerra culturale – una realtà evidente in tutte le nazioni occidentali anche se alcuni ne negano l’esistenza – combattuta tra la sinistra culturale o progressista e la grande massa dei cittadini che, se lasciata libera di agire, tende ad essere tradizionalista. In definitiva, le corti stanno applicando il programma della sinistra culturale».

    Fonte

    Breve tanto per dire :lol:
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    La bandiera francese è blu, bianca, rossa: il bianco è il colore del re, blu e rosso
    sono i colori del popolo. La sua creazione risale alla Rivoluzione francese.

    fra1



    Cliccate qui e scoprirete anche altro ;)
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    Incontri dedicati ai cittadini per le unioni di fatto

    Milano - Cresce il numero delle coppie etero che opta per la convivenza al posto del matrimoniocosì come aumentano le unioni di fatto gay: i notai suggeriscono alternative e sistemi per disciplinare la materia. Il Consiglio nazionale del Notariato ha presentato a Roma nella giornata di ieri l'open dayche si svolgerà il 30 novembre prossimo in tutta Italia: "Siamo due cuori e una capanna. Vi diciamo a chi spetta la capanna se i cuori si infrangono".

    Dal 2 dicembre prossimo sarà possibile stipulare contratti di convivenza nei quali la coppia convivente definisce le regole del proprio rapporto. I contratti disciplinerannodiversi aspetti patrimoniali:l'abitazione, la proprietà dei beni la contribuzione alla vita domestica e il mantenimento in caso di bisogno di uno dei due conviventi. I contratti, una volta firmati, diventeranno dei veri e propri obblighi giuridici a capo di chi li avrà sottoscritti.

    Fonte

    Finalmente una buona notizia
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    Non sei l' unica, in fin dei conti è una libera scelta personale (o almeno dovrebbe esserlo!)
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    Truffata la coppia di Crema accusata di aver "comprato" il bambino. L'esame del Dna è stato decisivo

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    Crema, 16 giugno 2013 - Truffati, , non truffatori. Gabbati da qualcuno che ha inteso lucrare sull’inguaribile desiderio di diventare genitori. E presi per i fondelli in modo disumano. Sì, perché la notizia che arriva oggi è che l’esame del Dna eseguito sul piccolo non solo esclude totalmente la madre italiana, ma anche il padre. In pratica, gli spermatozoi dell’uomo non hanno fecondato la ragazza che si è prestata a concepire e partorire un figlio per la coppia cremasca e il bambino consegnato loro non è figlio di nessuno dei due genitori.
    È questa la tremenda verità con la quale si devono confrontare i due cremaschi che a breve dovranno andare davanti al collegio giudicante del tribunale di Crema per difendersi da reati che prevedono pene fino a 15 anni di reclusione. Reati però che, secondo l’avvocato Giovanni Passoni, non esistono in quanto eventualmente commessi all’estero. Cosa può essere successo, dunque in questa incredibile vicenda? Riassumiamo. Nel dicembre 2010 la coppia si mette in contatto con la BiotexCom Center Human Reproduction di Kiev, in Ucraina perché hanno appreso che lì è possibile ottenere un figlio con una madre surrogata e che tutta l’operazione, perfettamente legale, costa 30mila euro.
    A gennaio 2011 la coppia va a Kiev, dove viene prelevato lo sperma dell’uomo e a marzo i cremaschi vengono avvertiti che l’impianto ha attecchito e che la ragazza che si è prestata è in attesa di due gemelli. I cremaschi volano a Kiev, conoscono la donna, assistono a un’ecografia, pagano un’altra quota del pattuito, apprendono che il parto è previsto per novembre e da allora restano in contatto con la ragazza.
    A settembre arriva una telefonata nella quale i cremaschi vengono informati che il parto è stato anticipato. Volano a Kiev dove apprendono che uno dei due gemelli è morto alla nascita, mentre l’altro ce l’ha fatta. Nei giorni che seguono la clinica fa ottenere ai due un certificato di paternità e maternità, assicurando la moglie dell’uomo che in Ucraina la legge permette di iscrivere come proprio il figlio nato da una madre surrogata.
    Tornano in Italia con il bambino, si presentano all’anagrafe per trascrivere i documenti ucraini e iscrivere il loro bambino, ma non c’è nulla da fare: il bambino viene loro portato via e affidato a una casa famiglia, mentre i due coniugi sono accusati di aver falsificato i documenti del piccolo e aver rapito il minore. «Tutte le accuse nei confronti dei miei clienti – dice l’avvocato Giovanni Passoni – non esistono perché anche se i documenti fossero falsi, questo reato sarebbe stato commesso fuori dall’Italia. I giudici stanno commettendo un errore».
    Siamo all’esame del Dna che dice senza ombra di dubbio che il cremasco non è il padre del bambino. Cosa può essere successo? Forse la madre surrogata quando si è presentata in clinica era già incinta e quando si è presentata per gli esami, dopo l’impianto degli spermatozoi dell’italiano, le sue condizioni sono apparse chiare, forse inducendo all’errore la clinica ucraina. Questo giustificherebbe il parto anticipato e tutto il resto.
    Pier Giorgio Ruggeri
    Fonte

    Cioè questa si fa affittare quando già teneva un' altro figlio in grembo? :o: (probabilmente manco suo pure quello)
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    Se prima eravamo in quattordici a bannare gli utenti
    adesso siamo in quindici a bannare gli utenti
    :spiasi:
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    Non so quanti anni potevo tenere all' epoca, sicuramente ero troppo piccolo per potere comprendere qualcosa di più delle semplici parole: a 26 anni compiuti adesso mi commuove non tanto per il ricordo in sè e per sè, quanto soprattutto il dramma fin troppo attuale che nascondeva :(
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    Oggi mi sento vivo, si vede? :lol:

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    Scherzi a parte, vorrei tanto avercelo anch' io un barboncino chissà che con tutti quei peli che perderebbe alla fine un po' di ciccia non si leva per davvero di dosso :rofl:
    Buona giornata, ragazze :wub:

    profumo+viva+rock

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    No, non hai detto esplicitamente di essere milionaria ma...per vivere in un posto simile ci vuole si è no due volte il deposito di Zio Paperone :lol:
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    E dici niente? :o:
    Beata te che almeno hai 80.000 euro per parcheggiare la macchina un' oretta, la mamma invece oltre ad essere una dipende statale non arriva manco agli 8.000!
    Strano forse per un' insegnante elementare? Forse non così tanto, visto che se la cava soltanto con i suoi 1.500 mensili
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    CITAZIONE (chao @ 29/10/2013, 14:03) 
    Penso due cose:
    la prima è che ogni situazione va vissuta. Io non credo che avrei desiderato un figlio al punto da farmelo fare e pagare per averlo, però... i figli li ho e quindi il desiderio di maternità non l'ho mai provato come una necessità assoluta.
    Due: non tutti, ma alcuni e in certe situazioni (sempre da provare per comprenderle davvero), per soldi sono stati costretti a mettere da parte orgoglio, convinzioni, amore per se stessi e molto altro.

    Sulla prima hai ragione (anche perchè essendo donna potresti comunque ricorrere alla fecondazione assistita)
    Sul secondo punto però bisogna anche pensare un' altra cosa: sti figli che la mamma partorisce per conto di terzi a chi andranno a finire? Perchè se si ha la certezza di conoscere in prima persona i genitori adottivi l' unico problema rimane la capacità della mamma naturale a fare scelte drastiche che potrebbero influire sullo stato psicologico di entrambi! Ma proprio perchè è una scelta drastica bisogna rifletterci almeno tre (non due) di volte, giusto per non doversene pentire in seguito!
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    CITAZIONE (chao @ 22/9/2013, 21:26) 
    qui vivi bene se hai tanti soldi, altrimenti è "scomodo".

    Perchè scomodo?
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    Lou Reed morto a 71 anni, addio all’ex cantante dei Velvet Underground
    La rock star di Brooklyn aveva subito un trapianto al fegato nel maggio scorso, dopo una vita vissuta a cento all’ora tra eccessi e grande musica, da "Walk on the wild side" a "Perfect day"

    di Domenico Naso | 27 ottobre 2013
    Settantuno anni, una vita vissuta a cento all’ora tra eccessi e grande musica: Lou Reed, ex leader del Velvet Underground e uno dei più grandi innovatori del rock negli ultimi decenni, è morto. Il suo agente, Andrew Wylie, ha spiegato che il decesso è dovuto a una malattia legata al recente trapianto di fegato, al quale la leggenda del rock si era sottoposta a maggio scorso. La sua carriera era cominciata negli anni Sessanta, come frontman dei Velvet Underground, miscelando sapientemente suggestioni diverse per dare vita al rock alternativo, glam e punk che lo ha trasformato in una delle leggende della musica mondiale.

    Newyorkese di Brooklyn, Lou Reed ha vissuto la scena della Grande Mela al fianco di altri grandi personaggi del tempo, primo fra tutti quell’Andy Warhol che produsse il primo disco dei Velvet Underground nel 1967. Era il “banana album”, chiamato così per la banana della copertina disegnata dallo stesso Warhol, uno dei segni iconici di quella cultura pop e underground (ossimoro che Warhol aveva reso solo apparente) di New York che andava crescendo attorno alla figura del pittore di Pittsburgh. Sarà breve, la vita dei Velvet Underground, ma in quei pochi anni Lou Reed e soci erano riusciti a unire il rock alle vicende urbane di una New York peccaminosa e fuori dalle regole della società americana di allora, persa com’era tra droghe e sperimentalismi sessuali di ogni genere.

    Messa da parte l’esperienza di gruppo, negli anni Settanta Reed torna prepotentemente sulla scena grazie all’aiuto di David Bowie, che proprio a Reed si era ispirato al suo esordio. Il Duca Bianco produce Transformer, l’album del 1972 all’interno del quale trovano spazio alcuni dei pezzi più belli di tutta la carriera di Lou, e sicuramente i più conosciuti dal pubblico: Perfect Day (tornata alla ribalta nel 1996 grazie alla colonna sonora di Trainspotting), Satellite of love, Vicious e Walk on the wild side. Grazie al successo commerciale di Transformer, Reed può permettersi di sperimentare nuove vie musicali nei dischi successivi (a cominciare da Berlin, un concept album difficile ma con sprazzi di grande musica).

    Nel frattempo, continua la sua forte dipendenza alle metanfetamine. Un altro grande album è New York, del 1989, che pone fine a una pausa di qualche anno. Pare sia stata la morte di Andy Warhol, nel 1987, a spingerlo a tornare alla musica, per raccontare nel migliore dei modi la sua città, la città degli anni d’oro della Factory. Ma è Songs for Drella (1990), il vero album dedicato a Warhol, scritto a quattro mani con l’ex compagno dei Velvet Underground John Cale. Negli anni Novanta, Lou Reed è ormai una leggenda della musica mondiale, e può permettersi in un certo senso di campare di rendita.

    Nel 1996, il film Trainspotting rilancia in grande stile la sua canzone più nota, Perfect Day, della quale nel 1997 il cantante ha realizzato una versione con altri grandi artisti inglesi per raccogliere fondi per l’Unicef (e vendendo un milione di copie). Negli ultimi anni, Lou Reed ha dovuto pagare lo scotto degli eccessi di una vita, fino al trapianto di fegato dello scorso maggio. A luglio, poi, era stato ricoverato per una grave forma di disidratazione. Oggi, infine, la morte di un simbolo della controcultura rock del XX secolo, parte integrante di un momento glorioso e drammatico allo stesso tempo della musica, tra produzioni leggendarie e momenti di irrefrenabile autodistruzione.

    Aggiornato da Redazione web alle 20.45 del 27 ottobre
    Fonte
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    Tanto non muore nessuno

    stierenvechter



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