L'isola dei favolosi

Posts written by beatofpleasure

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    Grazie, Giusy :wub:
    Grazie, Gianni :)
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    Eccola lì, la tua buonissima pasta con i piselli. Sì, proprio quella che avevi preparato con tanto amore. Ora giace sul pavimento… Piselli ovunque. L’ha lanciata il tuo bimbo. In quel momento tante sono le cose che vorresti dire (o fare), che poi si traducono, in qualche modo, con una sgridata punitiva o con la scelta di lasciare perdere e proporre un altro piatto. C’è chi si sente travolto dalla rabbia, chi dallo sconforto e chi prova a insistere per convincere il piccolo che quel cibo è buono, deve almeno assaggiarlo.

    Se capire cosa fare è così difficile per noi che siamo grandi, avete mai pensato come si sentono i nostri bambini in quei momenti?

    Se potessero parlare, forse direbbero così:

    Cara mamma e caro papà,

    - quando è ora di mangiare, certe volte ho paura. Ho paura delle cose nuove, perché non so che effetto mi faranno in bocca. Come faccio a mettere “dentro” una cosa che potrebbe essere cattiva o avere una consistenza spiacevole? Come devo reagire se succede? Posso sputare se non mi piace? Mi promettete che non mi sgriderete?

    - quando mi riempite il piatto, il cibo non mi sembra più cibo, mi sembra un compito da fare, una montagna ripida da scalare. Ho paura di sentirmi pieno, di non avere più voglia di andare avanti. Ho paura che quello che era buono, all’improvviso diventi cattivo. Se succede, voi cosa farete? Farete la faccia scocciata e io mi sentirò cattivo, sbagliato, stupido. Non voglio deludervi.

    - i sapori, anche quelli buoni, mi stufano. Se l’altro giorno quel piatto mi è piaciuto, datemelo ancora, ma non datemene tanto. Lasciatemi libero di prenderne un po’ e poi di chiederne ancora se ne vorrò. A me piacciono le porzioni piccole; poi, quando avrò finito, magari ne chiederò ancora. Posso provare a servirmi da solo?

    - certi colori hanno un brutto aspetto. Se la minestra è verde scura o marrone, non la voglio. E poi io devo riconoscere quello che mangio, i miscugli mi confondono. Ci sono tanti passati di verdura con colori più belli. Proviamo a farne uno arancione?

    - lo so che avete letto che bisogna assaggiare un piatto almeno cinque o dieci volte per capirne davvero il sapore, ma è inutile dirmelo sempre. Magari lo assaggerò di nuovo, ma lasciate passare qualche mese, datemi tempo.

    - quando vi sento tesi e arrabbiati, o distratti dai vostri problemi, io non ho voglia di stare seduto. Parliamo serenamente, scherziamo insieme. Magari quello che “non mi va giù” è la tensione che sento nell’aria. Giochiamo alla pace, almeno quando siamo a tavola.

    - se vi dico “non mi piace”, a volte non ce l’ho col sapore: quello che mi dà fastidio magari è solo la consistenza. Perché non mi proponete di annusare, prima di mettere in bocca? Magari il profumo mi farà cambiare idea. E poi sono stufo di pappette, datemi anche qualcosa di croccante. E smettetela di imboccarmi, ormai sono grande.

    - Se quei sapori che voi trovate buonissimi per me sono cattivi, non guardatemi con quella faccia che sembra voler dire “mio figlio è stupido”.

    - Non mi dite: “che cosa vuoi mangiare?”. Questa frase mi manda in confusione. Decidete voi per me, ma siate flessibili. Se un giorno una cosa non mi va , non importa, non fatene una questione di stato e non mi attribuite etichette “non mangi mai la verdura”, altrimenti, continuando a ripeterlo, può succedere che poi diventi davvero “quello che non mangia le verdure”

    - Quando mi prendete in giro, mi etichettate con aggettivi antipatici o mi dite che altri bambini sono bravi e mangiano tutto, mi sento ferito e solo, mi detesto perché so che vi deludo. Ma non posso fare nulla per cambiare le cose.

    - Ogni tanto, trovate il tempo per cucinare con me: se il cibo lo vedo, lo tocco, lo maneggio, lo annuso, a poco a poco imparerò a conoscerlo.

    - Non rinunciate mai a farmi scoprire il cibo, ma fatelo più serenamente. Perché non facciamo una gita in campagna? Magari in una bella fattoria?

    - Non proponetemi premi o ricompense se mangio quello che non mi piace: voglio imparare a fare le cose perché hanno senso, non per ottenere qualcosa in cambio.

    - Non mi date cibi golosi solo per farmi mangiare “qualcosa”: se fate così non mi state aiutando a risolvere il mio problema, vi state solo arrendendo.

    - Ho bisogno della vostra fiducia. Ditemi che prima o poi ce la farò; anzi, ditemi che ce la faremo.



    (tratto liberamente da un articolo di Federica Buglioni)

    S.P.
    Fonte


    PS Un vero peccato che la mamma non sia telepatica, dentro il mio pensiero troverebbe tutto quanto!
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    Un ormone ci fa cadere in tentazione
    Fa salire la voglia di snack e dolciumi quando è prodotto in eccesso, per esempio se saltiamo la colazione


    Ecco un altro motivo per cui cadiamo nei peccati di gola: la molecola che stimola l'appetito, la grelina, ha infatti svelato di avere un ulteriore ruolo, ci fa desiderare i cibi golosi, grassi e ipercalorici. Lo dimostra uno studio presentato da Tony Goldstone, endocrinologo dell’Imperial College di Londra in occasione del 92° meeting annuale della Endocrine Society, a San Diego. I risultati suggeriscono anche che l’aumentato rilascio nel sangue dell’ormone grelina da parte dello stomaco spiega perché se saltiamo la colazione tendiamo poi a desiderare intensamente i cibi golosi che fanno più male.

    La grelina è un ormone prodotto dallo stomaco che, viaggiando nel sangue, va al cervello trasmettendogli il messaggio della fame. Il cervello risponde inducendo l’appetito e motivandoci a mangiare. Quando siamo sazi, questo ormone diminuisce e il segnale rientra. Ma adesso i ricercatori hanno dimostrato un nuovo ruolo per la grelina, che apparentemente è nemica della linea perché ci induce a desiderare e quindi ad optare per cibi poco salutari come snack, cioccolata e pizza.

     Gli esperti hanno coinvolto un gruppo di persone in un esperimento articolato in tre mattine: la prima i volontari dovevano semplicemente fare colazione e poi 90 minuti dopo osservare delle foto raffiguranti i cibi ghiotti per antonomasia (come il cioccolato) o pietanze salutari come il pesce e la verdura e dire quale cibo desiderassero di più. La seconda mattina invece i volontari dovevano ripetere lo stesso gioco delle foto ma questa volta dopo aver saltato la colazione; la terza mattina, infine, a metà dei volontari dopo la colazione era somministrata una iniezione di grelina, all’altra una soluzione fisiologica del tutto neutra.
     
    Gli endocrinologi hanno confrontato le risposte  al desiderio dei cibi: la prima mattina non si registrano differenze significative ma i volontari giudicano altrettanto desiderabili i cibi ghiotti e quelli salutari. La seconda mattina, invece, cioè quella senza colazione, i volontari dicono di avere un forte desiderio per i cibi golosi. La terza mattina il desiderio di mangiare snack e altri cibi altamente calorici si rivela altrettanto forte ma solo per quei volontari cui è stata iniettata la grelina. Questo non solo dimostra che l’ormone dell’appetito è anche la molecola che accende la nostra golosità, hanno concluso gli esperti, ma anche che saltare la colazione fa male perché fa sì che il nostro stomaco produca un eccesso di grelina e quindi ci renda “iper-golosi”.

    Fonte
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    Fatti vostri :P
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    L’era della cravatta
    finisce dopo 400 anni


    L’accessorio più inutile, 
    scomodo e duraturo è in crisi
    Chiudono i negozi, i giovani 
    la ignorano: ci mancherà

    La catena di negozi di cravatte Tie Rack chiuderà entro la fine dell’anno tutti i punti vendita in Gran Bretagna. Gli affari non vanno bene, la concorrenza dei centri commerciali di abbigliamento è spietata, ma la vera ragione della chiusura è un’altra: la cravatta non la porta più nessuno.  

     

    Tie Rack era nata nel 1981 dall’idea di un commerciante di origine sudafricana, Roy Bishko, che faceva la coda ogni anno ai saldi di Harrods per comprare cravatte a buon prezzo. Guardandosi intorno, aveva notato quanti uomini volevano la stessa cosa e pensò che un negozio di sole cravatte, vendute a un costo ragionevole, avrebbe avuto successo. Alla fine degli Anni 90 i negozi erano più di 400, anche grazie a un’attenta strategia di marketing. Tie Rack si inventò la cravatta «Glasnost», con bandiere degli Usa e dell’Urss intorno a una colomba, che George Bush senior indossò nel 1989 al vertice di Malta con Gorbaciov.  

     

    Ma negli ultimi anni gli affari sono andati sempre peggio, anche dopo la cessione dell’azienda al gruppo italiano Fingen. La realtà, ammettono i gestori di Tie Rack, è che la cravatta ha fatto il suo tempo. Anche il premier Cameron non se la mette più nemmeno quando deve incontrare Obama, e per le strade di Londra è davvero difficile vedere qualcuno che la indossa.  

     

    La moda ci ha abituato a improvvisi funerali e ad altrettanto rapide resurrezioni, ma questa volta sembrano non esserci speranze. Per sapere che cosa i giovani pensano della cravatta, basta guardare quei bambini inglesi che sono obbligati a indossarla con l’uniforme scolastica: la portano sulla schiena, o annodata con il più insolente dei nodi, o nascosta dentro la camicia. Le aziende che sono più note ai ragazzi, come Amazon, Google, Microsoft, eBay, hanno liberato da tempo i dipendenti dall’obbligo della cravatta e anche gli uffici più tradizionalisti hanno adottato il «casual Friday», il venerdì in cui ci si può vestire come si vuole.  

     

    Se la moda o l’abbigliamento avessero qualcosa di razionale, bisognerebbe ammettere che non ci sono molte ragioni per portare una cravatta e che pochi accessori sono più scomodi. Eppure gli uomini la indossano da quattrocento anni, da quando i mercenari croati di Luigi XIV sfilarono per Parigi con i loro foulard annodati al collo, subito adottati dal re e dalla corte con il nome di «sciarpa croatta», poi sintetizzato in «cravate».  

     

    Nel corso dei secoli, la cravatta è diventata il modo migliore per farsi un’idea di una persona quando la si incontra. Se è allentata sul collo, se è troppo corta, se il nodo è malfatto, se non c’entra nulla con il resto dell’abbigliamento - per tacere di quando è sporca - ci comunica una sensazione di disordine e di inaffidabilità, un avviso a essere diffidenti. Sono stati ovviamente gli inglesi a farne il capo più significativo di un uomo elegante.  

     

    Quasi tutti i nodi della cravatta hanno nomi inglesi, dal semplice Four In Hand ai sette passaggi del St. Andrew, fino agli otto dell’ingombrante e impossibile Windsor. Negli Anni 20 era considerato un accessorio casual e lo si indossava per giocare a golf, cavalcare o scalare montagne. O per sottolineare l’appartenenza a un club, o a un reparto militare.  

     

    Le Regimental a strisce che vanno dalla spalla sinistra al fianco destro possono essere portate con noncuranza ovunque, ma non in Inghilterra, dove sono ancora usate per sottolineare un’appartenenza. Un distintivo preso così sul serio che quando a New York Brooks Brothers decise di imitarle, per rispetto disegnò le strisce dalla spalla destra al fianco sinistro. La cravatta è la più inutile delle cose che portiamo addosso, ma ci mancherà.  

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    Dopo una breve malattia è morto oggiCorrado Castellari, il compositore e cantautore che ha firmato diversi successi italiani. Susan dei marinaiè stato il suo primo successo che ha fatto incidere a Michele nel 1971. Affermatosi come autore ha scritto sucessivamente diverse canzoni per diverse protagoniste della musica leggere tra le quali Mina, Ornella Vanoni, Stefania Rotolo e Iva Zanicchi. 
    Parallelamente al lavoro di compositore nel 1973 ha pubblicato un suo album "Cioè, voglio dire" e poi si è dedicato allo Zecchino d'Oro per il quale ha composto fino al 2009 14 canzoni.
    Negli anni '80 si è affermato anche come creatore di sigle televisive e di cartoni animati. Lunga e importante la sua collaborazione con Cristiano Malgioglio. Nel 2011 ha composto la canzone "Faccio festa" scritta da Vittorio Sessa Vitale e interpretata da Paolo Belli. Nello stesso anno ha anche scritto Anna parte per Adriano Celentano presente nell'album "Facciamo finta che sia vero".
    Fonte
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    CITAZIONE (chao @ 22/11/2013, 13:08) 
    Mi piace vedere le cose dal punto di vista maschile, forse perchè quelli femminili li conosco già

    La stessa cosa vale quasi per me :)
    Diciamo più che altro che mi piace immedesimarmi (pensare nei panni di chi mi sta accanto, per intenderci): anche se ciò non sempre garantisce da parte mia un valido aiuto (almeno c' ho provato!)
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    Appunto :lol:
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    CITAZIONE (chao @ 22/11/2013, 09:17) 
    Dunque... Premesso che, tranne qualche thriller scritto da donne straniere, in genere, soprattutto per quanto riguarda gli autori italiani, preferisco gli scrittori maschi, non sono affatto d'accordo. :)
    Perchè mi piace scrivere, e se dicessi il contrario mi darei la zappa sui piedi.
    A parte gli scherzi e a parte l'ovvia considerazione che dire meglio l'uno o l'altro sesso significherebbe fare di tutt'erba un fascio, credo sia vero che l'uomo è, in certo senso, facilitato sia perchè proveniamo da una cultura in cui l'uomo ha sempre avuto diritto di studiare e fare quel che gli piace e non lo stesso si può dire per le donne, soprattutto se si risale a qualche decennio fa, sia perchè ancora oggi l'uomo "ha tempo e diritto di averlo", la donna se lo deve conquistare.

    Non metto in dubbio la tua passione :)
    In questo caso comunque non si può fare una media per un semplice discorso di soggettività, così come qualcuno può preferire un romanzo scritto da non so chi al tempo stesso qualcun' altro può provare le stesse emozioni con un libro scritto da un' altra! ^_^

    Dimenticavo...che cosa dire allora di quelli che non leggono nè gli uni e manco le altre? Loro non possono dare giudizi al riguardo per ovvi motivi, quindi come si fa a dire che gli uomini o le donne scrivono meglio? Si può semmai fare un confronto personale (preferisco questo/a scrittore/trice a quell' altro/a) ma nulla di più ;)
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    Sabato 9 novembre Beppe Grillo, nel suo blog, aveva pubblicato questa divertente vignetta che vedete qui di fianco,  parlando dei partiti flambè. E aveva sottolineato, nel suo solito stile irriverente, di come stia dilagando il fenomeno della combustione politica dilagante.

    Oltre a questo, consideriamo che uno dei miei film preferiti è I fantastici 4, e tra i 4 supereroi, manco a farlo apposta, quello che prediligo è lui, la torcia umana. Al di là del fatto che il protagonista del film di Tim Story, Chris Evans, è un gran bel pezzo di figliolo, ma a me la torcia umana è simpatica davvero.
    E nella dinamica dei fatti mi sono sempre chiesta: è possibile che qualcuno possa prendere fuoco in maniera spontanea?


    Circa tre anni fa, nel dicembre 2010, è stato trovato morto un’uomo nella sua casa, in Irlanda. Nulla di strano, visto che ogni giorno nascono e muoiono centinaia, se non migliaia, di persone. Ma ciò che rende questa morte davvero curiosa è il modo in cui l’uomo, che aveva 76 anni e si chiamava Michael Faherty, è stato trovato morto. Era completamente bruciato.

    Certo, una sigaretta dimenticata accesa che ha dato fuoco alla coperta che avvolgeva l’uomo; una candela caduta improvvisamente e il poveretto non se n’è accorto, perchè magari aveva avuto un malore che l’aveva lasciato privo di sensi…le ipotesi effettivamente sono tante, ma…

    ma il coroner che è stato chiamato per fare l’autopsia sulle ceneri di Faherty ha emesso il suo verdetto con una sola parola: autocombustione





    Non è stato certo il primo caso: la contessa Cornelia Di Bandi morì bruciata nel 1731 a Cesena: il suo corpo era intatto, a parte le dita, le gambe e la testa che erano completamente carbonizzati.
    Un senzatetto fu trovato moribondo in una strada periferica, in Gran Bretagna, nel 1967. Un vigile del fuoco che passava di là in quel momento potè assistere alla scena, e disse di aver visto una specie di fiamma di color azzurro che usciva dall’addome dell’uomo.
    Nel 1951, in Florida, una signora venne trovata carbonizzata in salotto: con lei erano inceneriti una pila di giornali e tutta la zona di moquette su cui giaceva il corpo, ma il resto del mobilio era in normali condizioni. Si chiamava Mary Reeser.
    Nel 1985 Frank Baker, residente in Vermont, ha dichiarato che se ne stava tranquillo sul divano quando improvvisamente ha sentito puzza di bruciato…credendo che la sua casa stesse andando a fuoco, si è subito alzato in piedi per mettersi in salvo, e ha così scoperto che era lui stesso a bruciare.
    L’anno seguente, a NewYork, un altro individuo, George Mott, di professione vigile del fuoco in pensione (oltre al danno la beffa!) è stato rinvenuto cadavere: di lui erano rimasti solo una gamba, il teschio e alcune costole. Tutto il resto era andato a fuoco, e anche in questo caso si parlò di autocombustione spontanea. 
    Un bimbo indiano di pochi mesi è stato ricoverato d’urgenza in ospedale, nel luglio di quest’anno, dopo che la mamma l’aveva visto prendere fuoco spontaneamente nella culla. 





    Il primo caso nella storia della medicina di autocombustione risale al XV secolo e si verificò in Italia. A prender fuoco fu un cavaliere di Milano, Polonio Vorzio che, dopo aver bevuto un bicchiere di vino, davanti allo sguardo spaventato dei familiari, si bloccò col bicchiere in aria e prese fuoco. Letteralmente. Morendo carbonizzato in pochi istanti senza che la famiglia potesse far qualcosa per aiutarlo.

    Da allora si sono susseguiti nel corso del tempo altri rari episodi di autocombustione, senza però che si riuscisse a individuarne la causa scatenante. 

    Molti scienziati rifiutano categoricamente la possibilità che un essere umano possa prendere fuoco così improvvisamente, senza alcune (apparente) ragione. Si tende infatti a sottolineare che la maggior parte delle persone bruciate erano anziani o ubriachi, con i riflessi un po’ allentati, e sole in casa, ipotizzando quindi che la causa scatenante potesse essere l'alcolismo: le fiamme scaturirebbero all'interno del corpo quando si è in presenza di una quantità eccessiva di etanolo, che si ha, ovviamente, in presenza di chi alza il gomito troppo spesso. Se poi si pensa che ci possa essere una fonte di fiamma nelle vicinanze, una candela ma molto più semplicemente un mozzicone di sigaretta, il conto è presto fatto. 
    Ci sono però altri ricercatori, come il dottor Gavin Thurston, medico legale londinese, che parlano di un “effetto stoppino”, secondo cui il grasso corporeo verrebbe assorbito dagli abiti e brucerebbe, anche a temperatura ambiente, quindi senza la presenza di un elemento scatenante. 





    Però un professore di biologia molecolare, Brian J.Ford, non convinto delle teorie strampalate dei suoi illustri predecessori, ha deciso di provare tali ipotesi. Ha messo a macerare della carne di maiale in etanolo e ha atteso che prendesse fuoco. Ma non c’è stato il maiale flamè, nemmeno quando l'ha avvolta in una garza bagnata  con l'alcol etilico.

    E così si è giunti alla conclusione: l'etanolo non c'entra – ha spiegato il ricercatore di Cambridge- anche considerando che non è normalmente presente nei tessuti umani. Ci potrebbe però essere un'altra sostanza chimica, altamente infiammabile, prodotta dalle nostre cellule e presente naturalmente nel corpo umano. Si tratta dell’acetone, la cui concentrazione può aumentare in particolari condizioni, come  l'alcolismo, una dieta priva di grassi, il diabete e persino in momenti particolari della vita di un bambino, come la dentizione.

    In questi momenti particolari, il corpo sviluppa la chetosi, fenomeno nel quale si produce l'acetone. Così Ford ha provato a intridere il maiale in questa sostanza chimica, e ha acceso un fuoco nelle vicinanze dei maiali: nel giro di pochi minuti erano interamente ridotti in cenere. 
    E non è necessario un fuoco vivo: basta anche una piccola scintilla, come l’interruttore della luce, o l’elettricità statica che ogni girono accumuliamo, la stessa che ci prendere quella fastidiosissima scossa quando scendiamo dalla macchina. 
      
    L’autocombustione, dunque, è reale! Dovremmo abituarci a girare con un mini estintore tascabile nella tasca dei pantaloni…. 



    Fonte
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    Donne vincitrici Nobel letteratura


    Premetto subito che l’articolo di oggi non vuole essere polemico…o forse sì?
    Fatto sta che ieri, come sempre, ho consultato nel mio solito forum per scoprire notizie nuove da proporre, e ho iniziato a discutere sui problemi che aveva avuto il blog nei giorni scorsi, presentando agli altri utenti le possibili cause e le soluzioni adottate, che a quanto pare funzionano visto che il blog si è riportato ai livelli di prima del tracollo.

    Parlando e informandomi, ho avuto una piccola discussione con un utente (di cui non riporto il nome per ovvi motivi), che prima mi ha detto: ci credo che hai avuto problemi col blog, sei una donna e le donne non sanno nulla di informatica, poi ha detto: che blog è il tuo? perchè non ti occupi di ricette come tutte le altre donne che scrivono? e poi se n’è uscito con l’infelice frase che dà il titolo all’articolo: 

    la scrittura è cosa da uomini, voi donne non sapete scrivere.


    E qui francamente la  mia pazienza, così come il linguaggio moderato che spesso, ma non sempre, adotto, sono andati a quel paese.
    Non è la  prima volta che incontro sul mio cammino degli pseudo-scrittori che affermano con sicurezza che scrivere è un affare da uomini, perchè tutti i più grandi sono uomini, basta guardare i grandi poeti italiani delle origini della letteratura che erano maschi: Dante, Petrarca, Boccaccio tanto per citare le “tre corone”, e poi Omero, Virgilio, Cicerone. Insomma, tutti maschi. Quando obietto che una grande poetessa fu Saffo, mi si risponde: sì vabbè, ma quella era lesbica, come se l’orientamento sessuale di qualcuno fosse un elemento determinante per capire se uno scrittore è bravo oppure no, o peggio ancora, per indicare che siccome una è lesbica allora è paragonabile a un uomo. Enorme cavolata!



    Tutti i più grandi, mi si dice, sono uomini, di donne che hanno scritto qualcosa di interessante non ce n’è nemmeno una! 

    Beh non direi proprio, se consideriamo che qualche donna, 13 per la precisione, ha vinto il premio Nobel per la letteratura, e tra le vincitrici c’è pure un’italiana, Grazia Deledda, che lo vinse nel 1926 con la seguente motivazione: per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi.

    Ma quali sono le donne che hanno vinto il premio Nobel per la letteratura?

  14. la svedese Selma Ottilia Lovisa Lagerlöf (1909), 
  15. Grazia Deledda nel 1926, 
  16. la norvegese Sigrid Undset nel 1928, 
  17. dieci anni dopo la statunitense Pearl Sydenstricker Buck, 
  18. e poi Gabriela Mistral (pseudonimo di Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga, la prima latinoamericana a vincerlo, nel 1945; 
  19. la tedesca Nelly Sachs nel 1966, 
  20. la sudamericana Nadine Gordimer nel 1991, 
  21. la statunitense Toni Morrison nel 1993, 
  22. la polacca Wisława Szymborska nel 1996, 
  23. l’austriaca Elfriede Jelinek nel 2004, 
  24. la britannica Doris Lessing nel 2007, 
  25. la tedesca Herta Müller nel 2009 
  26. e l’ultima, la canadese Alice Munro, nel 2013.

  27. Insomma, non proprio pochine, anche se in netta minoranza rispetto ai colleghi maschi.

    Ma forse se si pensasse al ruolo della donna nella società, si capirebbe questa discrepanza. Fortunatamente però le cose stanno cambiando, quel che ancora deve cambiare, forse, è la mentalità retrograda di certi uomini maschilistiche hanno la convinzione ben radicata nella loro testa che siccome son loro a portare i pantaloni, allora sono loro che comandano e fanno tutto, e le donne hanno solo da stare a casa, far figli, accudirli, far da mangiare e sistemare il nido domestico.
    Beh fortunatamente questa concezione, ancora presente in certi Paesi, sta gradatamente venendo meno. Anche il nome stessi delle professioni non aiuta: il genere maschile-femminile tende infatti spesso a porre in cattiva luce il mestiere femminile, e a cambiare è solo una vocale. Volete qualche esempio? Massaggiatore / massaggiatrice, accompagnatore / accompagnatrice, intrattenitore / intrattenitrice e l’elenco potrebbe continuare.

    Ma torniamo all’argomento principale: è proprio vero che la scrittura è compito da maschi? perchè si crede questo? mi verrebbe da dire, forse un po’ polemicamente, che è quasi ovvio, visto che per scrivere ci vuole tempo, e le donne tempo non ne hanno, vista la loro immagine di “angeli del focolare”.

    Credo sia fin troppo facile, per gli uomini, star seduti alla scrivania e scrivere, scrivere tutto il giorno, tanto a far la spesa, riordinare, far da mangiare ci pensano sempre e soltanto le donne.

    Ma il discorso che faceva quel tale era un altro: le donne scrivono male. Non so proprio quanto questo possa essere vero.

    Non scordiamo che, in tempi recenti, sono state due donne a polverizzare ogni record di vendita, J.K. Rowling con la saga di Harry Potter e E. L. James, con la trilogia delle 50 sfumature di… lasciamo perdere la qualità di questi libri, ma pensiamo alle copie vendute. Un’enormità.



    Classifica libri più letti


    E poi, che ci chiedessimo: quali sono i libri più venduti al mondo? Qui la classifica cambia, e di parecchio, a seconda di chi l’ha stilata: secondo l’americano James Chapman, infatti, al primo posto figurerebbe la Bibbia, al secondo posto il Libretto Rosso di Mao Tse-Tung e al terzo posto…guarda un po’, la Rowling con la saga di Harry Potter. E poi ancoraIl Signore degli Anelli di TolkienL’alchimista di Paulo CoelhoIl Codice da Vinci di Dan Brown; e poi un’altra donna, l’autrice della saga Twilight, Stephenie Meyer. E la classifica si chiude con altri due libri scritti da donne: Via col vento di Margaret Mitchell e il Diario di Anna Frank. Tra loro, al nono posto, il saggio Pensa e arricchisci te stesso di Napoleon Hill.


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    Secondo altre classifiche, invece, la classifica sarebbe un po’ diversa, e non si vedrebbero nomi femminili nelle prime posizioni. All’undicesimo posto, invece,Agatha Christie con Dieci piccoli indiani. Ma non è questo il punto: le donne sanno scrivere, se lo si lascia loro fare!

    Quindi non c’entra proprio nulla il sesso di chi scrive, conta cosa uno scriva e in che modo. Indubbiamente i maschi tendono a privilegiare l’aspetto pratico della narrazione, mentre le donne quello romantico o sentimentale, ma questo fa parte del DNA di ognuno di noi, e fin da troppo tempo vedo intorno a me gente che dice: beh sì, io sono un blogger importante, il mio blog fa più visite anche dei blog di cucina, perchè secondo qualcuno le donne dovrebbero scrivere solo ricette, istruzioni per il makeup, fare tutorial per realizzare collane e centrotavola, mentre la letteratura, l’informatica, l’arte, è meglio lasciarla agli uomini perchè loro sanno come si fa. Baggianate colossali!

    E poi scusate, se davvero il makeup, la moda e la cucina è territorio femminile, perchè mai ultimamente, specie in tv, vediamo uomini che si cimentano in questi campi? Gordon Ramsey ad esempio è uno chef che adoro, il suo Cucine da incubo non me lo perdo per nessuna ragione al mondo, e altrettanto dicasi per Alessandro Borghese; e poi che dire di Randy, lo stilista di “Abito da sposa cercasi” (programma in onda su RealTime) o il nostrano Enzo Miccio, simpaticissimo cultore della moda e dello stile che tanti programmi fa, sempre su Real Time

    Non c’è alcuna distinzione di sesso, razza, religione o cultura in quel che si fa, lo si fa e basta! Io nel mio piccolo mi sto facendo un mazzo tanto per studiare e risolvere i problemi di informatica che affliggono il mio blog, e tra codici HTML5, AJAX (che non è una squadra di calcio!), PHP, Micro e macro dati, Mime e affini credo di saperne più di tanti altri maschietti che si fanno belli con le guide tascabili di Apogheo.

    Insomma, lasciate la libertà anche alle donne di scrivere, ce ne sono certe che lo sanno fare bene, molto bene, forse più di tanti maschi spocchiosi e prepotenti che disseminano il web con le loro perle di saggezza e dicono: io posso scrivere, tu non lo sai fare. 

    Non esiste mestiere da uomo o da donna, tutti possono fare tutto (anche i maschi possono imparare a stirare una camicia senza farci grinze o bruciargli il dorso perchè hanno messo il ferro troppo caldo).

    Concludo raccontandovi una barzelletta.

    Una donna che sta stirando chiede al marito: ci sarebbe da dipingere un muro, puoi farlo tu?
    E lui, che sta leggendo il giornale: no, sono pittore io?
    Dopo un po’ la donna, che sta ancora stirando, chiede: ci sarebbe da rifinire quel tavolo in cucina, è pieno di schegge.
    E lui: sono falegname io?
    La donna chiede ancora: ci sarebbe da oliare un po’ il motore della macchina.
    E lui: sono meccanico io?
    La donna, sempre continuando a stirare, chiede al marito: ci sarebbe anche da portar fuori la spazzatura, vai tu?
    E lui, sbattendo il giornale sul tavolo: sono spazzino io? e se ne esce da casa.
    Quando poi torna, trova il muro dipinto, il tavolo senza schegge, il motore oliato e pure la pattumiera svuotata. Pentito di non aver aiutato la moglie, va a chiederle scusa e si complimenta perchè è riuscita a fare tutto da sola, e lei gli dice: non sono stata io, mi ha aiutato il vicino di casa. Mi ha detto: faccio tutto io, ma tu o vieni a letto con me o mi prepari una bella torta!
    E il marito, sconvolto, le dice: e tu, hai fatto la torta, vero?
    E lei: sono pasticcera io?


    Fonte

    Peccato solo non ci sia gineprone :( (questa discussione l' avrebbe interessata di sicuro)
    Vabbè, nel frattempo che ne pensate voi? Io non leggo romanzi quindi non posso giudicare chi è meglio o peggio! ^_^ A voi l' onore!
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    CITAZIONE (- Gianni - @ 19/11/2013, 19:10) 
    Possibile?! :o: Già tutti a nanna? :woot:

    Sogni d'oro cari Favolosi! :D

    Io veramente sto ballando :woot:
    Buon pomeriggio Gianni :D
4490 replies since 3/1/2010
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